Io, tu e Facebook
Come tutti gli oggetti di uso quotidiano, Facebook dice molto di noi. Sia come singoli sia come società. Non a caso, è stata proprio la piattaforma blu a inaugurare l’era dei social network. Ideato nel 2003 e lanciato nel 2004 da uno studente ventenne di Harvard (Mark Zuckerberg vi dice qualcosa?), il portale da semplice giochetto interuniversitario ispirato agli annuali americani è diventato oggi il canale di comunicazione web più attivo nel mondo, diffuso in 70 Paesi e con alle spalle una società quotata in borsa.
Ma non vi tedierò con una storia che, molto probabilmente, leggerete sui libri di scuola dei vostri figli. Parliamo di Facebook, certo, ma dell’uso e consumo che se ne fa e se ne è fatto in questi anni in Italia. Era il 2008. Tra la primavera e l’estate i più smanettoni iniziarono a conoscere e adottare la piattaforma, creando profili che tuttavia erano isole vergini in mezzo all’oceano. La maggior parte transitava ancora tra Windows Live Messenger, Badoo e MySpace.
A proposito: che fine hanno fatto? Il primo è definitivamente scomparso. Nel 2011, infatti, la Microsoft ha acquistato Skype dal gruppo Ebay e l’ha poi unito al suo servizio di messaggistica (appunto Messenger), ormai ampiamente decaduto. Si è trattato di una soluzione inevitabile, visto che WLM non poteva durare da solo, specialmente dopo l’ottimizzazione della chat di Facebook. E insieme alla messaggistica istantanea, Microsoft ha anche visto crollare il bacino di utenza della posta elettronica, tanto che Hotmail è stata recentemente trasformata in Outlook, originariamente incluso nel pacchetto Windows. I trilli, comunque, erano davvero inquietanti. E i due omini che facevano il girotondo mentre si aspettava la connessione – ai tempi quasi per intero adsl – avevano un potere ansiogeno da far concorrenza allo sta scrivendo… della postera Whatsapp.
Analoga sorte è toccata a Badoo. Antesignano di Facebook e praticamente uguale per funzioni, è stato svantaggiato principalmente dai tempi. Al momento del suo lancio (maggio 2006, Londra) l’Europa non era infatti pronta a una piattaforma così interattiva. La lentissima connessione internet rendeva molto più papabili gli sms, specialmente nei Paesi del Mediterraneo, da sempre i più porosi alle tecnologie sociali. Inoltre Badoo ha anche un significato pornografico, quindi in molti sistemi era stato bannato per questioni di sicurezza. Tutto ciò ha fatto sì che, con l’arrivo di Facebook, la maggior parte degli utenti iscritti sia transitata dall’arancione al blu. E i nuovi, di certo, non abbiano avuto dubbi sulla scelta tra i due. Nel 2011 Badoo ha cercato di salire sul carro del vincitore. Ma con scarsi risultati. Il tentativo di trasformare la B in un’applicazione facebookiana, infatti, si è rivelato vano. Chi mai si prenderebbe la briga di gestire un social nel social?
Infine, che dire di MySpace? L’idea era decisamente meritevole. Tanto che inizialmente il sito ebbe anche un discreto successo, coinvolgendo tra l’altro personaggi dello spettacolo, dello sport e della musica. I problemi erano però due. Innanzitutto il livello di impegno richiesto. Si trattava di tenere un blog e specialmente di portarlo avanti. E sappiamo tutti quanto ciò sia entusiasmante all’inizio ma faticoso sul lungo periodo. Non tutti, d’altronde, sono nati con il pallino della narrazione. A questo si aggiunge il fatto che la maggior parte dei servizi offerti da MySpace sono stati da subito implementati anche su Facebook. Ragioni, queste, che hanno spinto gli utenti a scegliere la soluzione più comoda. Con il risultato che MySpace nel 2009 ha chiuso i battenti. Da questi esempi, possiamo trarre la prima fondamentale conclusione, che è anche uno degli insegnamenti basilari di economia dei media: il valore di una rete cresce proporzionalmente al moltiplicarsi dei suoi utenti. Questo principio, noto anche come legge di Metcalfe, è legato all’esternalità di rete, che si ha quando il beneficio che un individuo può trarre dalla rete aumenta con l’accrescere dei soggetti a essa connessi. E la storia dei social network, ma anche più in generale delle tecnologie della comunicazione, ne è la prova: avreste tanto scartavetrato i principi etico-autoritari dei vostri genitori, chiedendo loro di comprarvi il cellulare quando ancora eravate incroci tra bimbi e adolescenti, se tutti i vostri amici non l’avessero avuto? Di certo non era per restare in contatto con la famiglia quando non eravate in casa. E nemmeno per fare esercizi di bella scrittura autoinviandovi sms. Allo stesso modo: chi mai si sarebbe iscritto e si iscriverebbe a Facebook se non ce l’avesse nessuno?
Quindi torniamo alla storia di Facebook. Nel giro di pochi mesi gli utenti si erano decuplicati. Tutti parlavano in terza persona, perché lo stato partiva con il nome e il cognome. Nel biennio 2008-2009 si è avuta l’impennata. Inizialmente solo tra gli universitari, poi anche tra gli studenti delle scuole medie secondarie e, quando il pc è diventato l’ultimogenito di ogni famiglia italiana, hanno iniziato a iscriversi anche bambini delle scuole elementari e medie inferiori. A ben pensarci, la modalità di diffusione anagrafica è stata circolare: il raggio è partito dalla fascia 19-25, allungandosi poi alla 14-18 e successivamente 10-13, per raggiungere infine i non nativi digitali, vale a dire over 30enni: professori, single, casalinghe, genitori e professionisti nei più svariati campi.
All’inizio gli utenti erano gratificati dal meccanismo del ritrovo: tramite Facebook si aveva la possibilità di riallacciare i contatti con vecchi compagni delle elementari, amici di un’estate in vacanza, persone perse di vista da un bel po’. Il fine non era tanto comunicare, quanto sbirciare più o meno morbosamente la vita altrui. E, nella maggior parte dei casi, la speranza era di essere altrettanto spiati. Proprio così. Il piacere di costruirsi un profilo – parola non a caso scelta per delineare la fisionomia delle pagine personali – il più possibile simpatico, sexy, affascinante. Vi ricordate quante fotografie venivano postate ogni giorno? E badate bene: non esisteva ancora la possibilità di scattarle direttamente dallo smartphone. Ci voleva proprio un bell’impegno per caricare le immagini dalle macchinette digitali e aspettare i tempi biblici di upload. Eppure lo facevano tutti. E forse ancor più di oggi.
La prima fase di Facebook ha smascherato il nostro inconfessabile egocentrismo
Attenzione però: a differenza dei predecessori, Facebook non era usato, almeno all’inizio, come strumento di adescamento e rimorchio. I profili fake si potevano davvero contare sulle dita di una mano e, con la sua diffusione, l’utilità è diventata ancora più pratica: dal voyerismo al concreto virtuale. Nel 2009-2010 tutti ormai erano iscritti e Facebook aveva preso il posto del cellulare, almeno per quanto riguarda la funzione comunicativa. Il social network ricreava sul web il proprio piccolo mondo reale. I contatti più frequenti erano gli amici di tutti i giorni. Tramite Facebook ci si accordava per uscire la sera. O per scambiarsi informazioni sui corsi universitari. Era anche il periodo dei gruppi senza scopo né istituzione. Del tipo: Quelli che…
C’era tuttavia un inconveniente. Se infatti la chat, agli albori piuttosto scomoda, era stata sistemata quasi subito, e se la possibilità di risultare off line pur rimanendo attivi nelle conversazioni venne inserita poco dopo, Facebook non te lo potevi certo portare in borsetta. Né in metropolitana. La svolta è avvenuta con gli smartphone, che hanno reso disponibile il collegamento al web anche da cellulare. E’ stata così creata un’apposita applicazione per accedere a faccialibro. Contemporaneamente si sono sviluppate app complementari, come Instagram, che ha accelerato ed espanso la voracità visiva degli utenti. Fotografare tutto: dal pelo superfluo al piatto di maccheroni. O Googlemaps, per far sapere dove si è, con chi si è, a che ora. Che ce frega che Tizio alle 10 del mattino sia all’Esselunga con Caio e compri le fette biscottate? Chiedetelo ai 10, 20, 30 e più che mettono like. Già, perché un’altra innovazione zuckerberghiana è proprio quel pollicione in su, così facile da cliccare che ti fa essere altruista verso tutto e verso tutti. E allora mettiamo un mi piace anche allo stato Sto pensando al suicidio, Ho fatto la cacca, Ho caldo, Ho freddo, Adesso faccio una doccia. L’egocentrismo, che per un certo periodo sembrava essersi sopito, facendo tra l’altro già malignare sul futuro della piattaforma, è riaffiorato come i funghi in autunno e le gemme a primavera.
Il bisogno di esserci ha superato la volontà di essere.
E, mentre schermati da un display, confessiamo a centinaia di persone ciò che non diremmo nemmeno al nostro cuscino, Facebook si apre a nuove funzioni. Se infatti i primi professional users erano per lo più giornalisti, adesso anche il panettiere dell’angolo o la boutique di abbigliamento usano il social per scopi lavorativi. Fotografie per lo più, ma anche informazioni ed eventi. Personaggi pubblici lanciano i loro messaggi in un simposio fandom-populistico.
Quanto al piccolo inconveniente Whatsapp, Mark è corso ai ripari. Prima ha reso obbligatoria l’applicazione Facebook Messenger su smartphone, ricreando praticamente le stesse funzioni del telefono verde. In questo modo, gli utenti possono messaggiare e connettersi direttamente alla chat, senza passare dal portale. Ma, non contento, a febbraio 2014 ha acquistato Whatsapp. In tanti si sono chiesti perché. Che cosa ha spinto il fortunatissimo e ricchissimo inventore del primo social network mondiale a prendersi l’onere di un’applicazione che, nonostante abbia senza dubbio riscosso un gran successo, più che Facebook ha dato fastidio alle compagnie telefoniche, cannibalizzando gli sms? Ma soprattutto: Whatsapp non ha mai reso grandi profitti ai suoi inventori, essendo un servizio gratuito e senza pubblicità. Ovviamente Zucky non fa niente per niente: l’acquisizione gli ha permesso di allargare il bacino di informazioni sugli utenti, generando una delle cose più importanti per la comunicazione attuale: servizi integrati. In questo modo i contatti di Facebook e Whatsapp diventano fra loro complementari e il bianco-blu si espande anche in quei luoghi ancora poco permeati. Senza contare quanto un simile bocconcino faccia gola agli inserzionisti, che in un colpo solo hanno tutte le informazioni di marketing necessarie a personalizzare e mirare la pubblicità. A puntare sul target giusto.
Il capolavoro è stato suggellato da un tocco di maestria. Nell’epoca delle grandi incertezze e dei nipoti di Freud, siamo un po’ più sicuri nella home facebookiana, ormai diventata una sorta di diario. Avete mai notato come i contenuti informativi siano sempre quelli più vicini ai vostri interessi? Come difficilmente troviate un link che non leggereste proprio per niente? E come gli aggiornamenti riguardino sempre i contatti con cui avete rapporti più frequenti? Il tutto è ovviamente collegabile al passo precedente: non esistono più branche o masse, ma singoli fruitori. Facebook non si rivolge a tutti, ma si rivolge proprio a te.