Rientro in Uzbekistan, tra la Mahalla di Samarcanda e le città di Khiva e Bukhoro
Durante la notte rientro a Tashkent e decido così di riposarmi comodamente per poi la mattina seguente partire per Samarcanda. Per il giorno seguente non ci saranno treni nella direzione scelta, così, nonostante in molti resoconti di viaggio sia sconsigliato l’utilizzo dei bus, opto per quest’ultimo mezzo. Arrıvo alla stazıone deı bus ed entro nel prımo mezzo che sı dırıge a Samarcanda; da subıto sı nota come molto probabılmente ıl problema più grande sarà ıl sovraccarıco del bus stesso. Molte persone sono fatte accomodare nel bus nonostante questo sıa gıà stracolmo, provocando un sovrappeso che peggıora ıl gıà precarıo equılıbrıo del mezzo, oltre a rallentarne la marcıa. Nonostante la pesantezza del viaggio, esso risulterà ricco di sorprese e spunti di riflessione, grazia alla squisita compagnia dei locali. Durante l’arco di tutto il lungo tragitto, verremo guardatı come due personaggi stravaganti sperdutı nel bel mezzo delle strade malmesse dell’Uzbekıstan, senza quasi capirne il perché; cı vıene spıegato ınfattı da un ragazzo conoscıuto nel bus che è molto raro trovare stranıerı ın questo tıpo dı bus, ın quanto generalmente essı predılıgono ıl treno, dı gran lunga pıù comodo.
Arrivo a Samarcanda quasi a notte fonda,spostandomi nell’immediato verso un’economica guest house, nella zona del vecchio quartiere ebraico della città. Quando leggo il nome di Samarcanda scritto in caratteri enormi all’ingresso della città, tiro un ultimo sospiro di sollievo, per essere riuscito a superare uno dei viaggi su “strada” tra i peggiori della mia vita. Sono finalmente arrivato in una delle città più importanti sulla via della seta. La sensazıone nel sapere d’essere arrıvato a Samarcanda vıa terra mı lascıa per qualche secondo quası ıncoscıente; la mia mente ritorna indietro a qualche mese prima, nel momento ın cuı mı prefıssavo un’immagine delle sensazıonı che avreı provato trovandomı dınnanzı a quel cartello e tutto ciò che esso avrebbe rappresentato per me; un mondo rıcco dı madrase maestose, l’ımmensa bellezza della pıazza del Registan e gli sgargianti colori della seta confusi al sapore dı varie spezie. Purtroppo questa speranza ed ımmagınazıone resteranno solo un sogno del passato, una figura sbıadıta di splendıdı monumentı cırcondatı oggi dalla dıstruzıone culturale attuata dal governo uzbeko. Una delle città più importanti per la dinastia timuride, trasformata ın un ımmenso “luna park” per turıstı, dove uno sbılenco folclorısmo autodıstruttıvo e dal sapore artıfıcıale ha sostituito il sapore tradizionale della città. Rıstorantı che rıproducono un falso tradızıonalısmo, piccoli parchi curati sino all’esasperazione che soffocano la bellezza del Registan ed in ogni dove negozi di prodotti souvenir d’ogni genere. Oltre agli alberghı a cınque stelle dıssemınatı ad ogni angolo di strada e la presenza di guest house dall’estetıca orrıbıle, c’è una cosa che mı ha fatto ben comprendere l’attıtudıne odierna del governo uzbeko: ognı accesso alla cıttà antıca con ı suoı splendıdı quartıerı popoları è stato sbarrato da orrıbılı mura dıpınte con mediocri pıastrelle color turchese, ın modo da tappare al turista la visuale sulle realı condızıonı dı vıta della popolazıone uzbeka.
Lo stranıero non deve entrare maı ın contatto con la parte locale, con ıl cuore della popolazıone uzbeka e con ıl suo calore: il turista deve sorrıdere e godere solo della bella vısta del Regıstan, delle vıe prıncıpalı della cıttà con i suoi piccoli negozietti esotici e deve rallegrarsi con le meravıglıose madrase, senza alcun disturbo dovuto alla realtà. La voglia di entrare a contatto diretto con il cuore pulsante della città è alta, così dopo a aver cercato un varco per potermi inoltrare nella zona “reclusa”, riesco ad accedervi attraverso un orrendo portone simile all’ingresso di un’antica prigione. Mi sto spingendo nella zona più antica di Samarcanda, la Mahalla. Entrando con Filippo, siamo accolti da una strettissima via con casette tradizionali di piccola e media dimensione, tipiche d’altri piccoli villaggi trovati nella valle del Fergana. Giunti in prossimità d’un’ antichissima moschea poco visitata ma tra le più antiche della città, veniamo inondati da svariati saluti e un lungo abbraccio di sorrisi. Dopo avere percorso qualche metro attraverso questo stretto vicolo, siamo avvicinati da alcuni abitanti del quartiere che ci invitano a bere del tè all’interno di una chaykanè antica e senza fronzoli, genuinamente tradizionale.
Il proprietario ci invita a sederci tra antichissimi tappeti e cuscini ricamati a mano. Dopo qualche tentativo di conversazione ed alcuni sorrisi per il russo imbarazzante, arriva il momento della condivisione del tè che tradizionalmente segue alcuni formalissimi passaggi, difficili da incontrare in una città invasa dal turismo.Il tè viene versato prima nel tuo bicchiere per poi essere immediatamente rovesciato un poco fuori della porta ed un poco all’interno della teiera, come un segno di benvenuto al commensale forestiero. Successivamente la tazza viene riempita per metà ed inizia il momento del tè nero senza zucchero, dal tipico sapore amarognolo.
Il tempo trascorre velocemente e siamo stupiti di come la situazione cambi aldilà delle mura. La semplicità e la convivialità della conversazione fa volare via il tempo ed ogni tazza di tè bevuta è come una piccola goccia di tesoro aggiunta al bagaglio d’esperienze vissute in ogni momento di questo viaggio. Usciti dalla chaykanè ci dirigiamo verso la sinagoga di Samarcanda per conoscere meglio la comunità del posto e la sua particolarità. Proseguiamo per angusti ma splendidi vicoli circondati da quelle terrificanti mura che opprimono i già nostri pesanti passi, sempre più affaticati dal caldo terrificante di una giornata di Maggio. Le case tradizionali si susseguono tra palizzate di legno e portoni affascinanti, fino a che in un piccolo vicolo laterale scorgo una piccola stella di David che indica la via verso la sinagoga.
Davanti ad un piccolo portone veniamo invitati ad entrare in un piccolo cortile da un anziano signore vestito con abiti tradizionali ed una splendida Kippah. Non potrò mai dimenticarmi la prima espressione del custode della sinagoga di Samarcanda alla vista di due persone durante la fine di Shabbat. Mi guardo intorno e vedo due ingressi separati per due edifici differenti, più tardi verrò a sapere che la comunità sefardita e la comunità ashkenazita di Samarcanda convivono nello stesso cortile da svariati anni, seppur non abbiano alcun tipo di rapporto stretto. La sinagoga sefardita ha un aspetto meraviglioso nella sua semplicità e piccolezza; lo stile interno è davvero strano rispetto ad altre sinagoghe viste in altri viaggi. La cosa che colpisce di più è l`attenzione riservata al rispetto dell’architettura locale, tant’è che la cupola che ricopre l`intero spazio presenta le medesime caratteristiche di quella di una moschea qualsiasi di Samarcanda, con un’ attenzione particolare agli ornamenti ed i colori. La comunità sefardita di Samarcanda possiede un’ interessante particolarità: sia nelle cerimonie sia nel parlare quotidiano non si comunica nell`ebraico classico, ma si utilizza un particolare dialetto locale, incomprensibile per gli abitanti stessi di Samarcanda. Ciò rende unica al mondo questa piccola ed anonima comunità dell’Asia centrale All’esterno delle due sinagoghe, nel cortile, l’olfatto è invaso da una piacevolissima fragranza di menta coltivata in un grazioso giardino ben curato dai frequentatori del loco. Dopo esserci state offerte delle freschissime foglie della pianta, noto che vicino all`ingresso della sinagoga sefardita, sventola un’ antica e sgualcita bandiera di Israele; particolare che mi farà apprendere lo stretto legame con lo stato sionista israeliano, senza lasciami troppi dubbi sul pensiero della comunità in merito al conflitto in Palestina. Usciamo arricchiti dal cortile con una esperienza memorabile che aggiunge un tassello importante al mosaico di vicende ed informazioni che stanno accompagnando questo lungo viaggio.
Sulla via del ritorno verso l`ostello passiamo qualche ora dentro alla splendida Mahalla. I bambini accompagnano il camminare tra questi antichi vicoli,sorridendo ad ogni nostro timido saluto, mentre, le persone anziane dalla voce affaticata ci chiedono in un russo comprensibile e con gentilezza di dove fossimo. Così l`aria della Mahalla diviene l`ossigeno d`ogni nostro passo. La meraviglie di questa parte della città non sono le imponenti madrase, i monumenti ed i grandi ristoranti, ma le vite quotidiane e reali dei locali, i loro sguardi calorosi e la rabbia d’essere stati ghettizzati in un’ orrenda prigione dal governo autoritario di Islam. Torniamo verso l`ostello in silenzio, soli con i nostri pensieri, sopendoci con un tesoro di ricchezza popolare custodito nel cuore che difficilmente andrà perduto nella memoria. Il giorno seguente decidiamo di proseguire il nostro viaggio recandoci a Bukhoro, dove ho il contatto di una famiglia che risulterà uno dei più emozionanti incontri fatti durante tutto l’arco del viaggio; questa città si presenta sulla carta come un gioiello in mezzo al deserto ma come altre, si rivelerà purtroppo per gran parte un ulteriore luna park turistico. Arriviamo nella città con un caldo esageratamente insopportabile e durante l`attesa della madre di famiglia conversiamo allegramente con un atleta paraolimpionico della nazionale uzbeka.
Al momento dell`arrivo della donna siamo accompagnati verso una zona non troppo distante dall`ospedale che presenta le tipiche caratteristiche di una Mahalla di periferia, accolti dalla solita calorosa accoglienza dei suoi abitanti. Entriamo nella piccola casa e sorprendentemente notiamo che all`interno dell’abitazione vi abita tutta la famiglia al gran completo: figli, madre, nonni, zie e cugini. La casa è semplicemente meravigliosa. Agli ospiti è riservata una stanza dal tipico aspetto tradizionale; tappeti dai colori rosso-dorati, cuscini lungo i muri ed un tavolo di legno ornato magnificamente. Il maschietto di famiglia, un bambino di undici anni, ci accoglie con la sua timidezza, mostrandoci i suoi meravigliosi origami. Dopo un’interessante chiacchierata, ci legge alcuni passi del corano con la tipica tonalità musicale della lettura del libro sacro ai musulmani. Siamo sorpresi dalla sua abilità con le lingue, dalla sua passione per la lettura e per l`arte e dalle sue ottime conoscenze sulla storia dei popoli di origine turcomanna.
Dopo una piacevole scorpacciata di gelsi accompagna da buon tè gentilmente offerti dalla casa, ci fermiamo a parlare per un po’ di tempo con il bambino che ci spiega che la sua educazione è dedita quasi esclusivamente alla lettura del corano e degli insegnamenti dell`Islam in una madrasa locale. Veniamo quindi a conoscenza che il grado di scolarizzazione nelle zone più popolari delle città uzbeke è davvero bassissimo o è legato esclusivamente ad un educazione religiosa. Usciamo tardi dalla nostra nuova dimora, incamminandoci verso il centro storico di Bukhoro, durante l`ora del tramonto. Lo spettacolo è tremendamente affascinante. Man mano che ci avviciniamo alla zona centrale, la musica comincia ben presto a cambiare: la frenesia tipica di una città turistica invade lo sguardo con luci kitch sparate sui monumenti accompagnate da motivetti da discoteca che risuonano anche nei vicoli più nascosti. Oltre ad essi non può mancare la presenza di ristoranti “trash” che offrono pietanze di pessima fattura a prezzi smodati. Oltre ciò non sto neanche troppo a soffermarmi nel descrivere due orrendi cammelli di pietra dura costruiti nel bel mezzo d’ una fontana colorata anch’essa da luci che riproducono i motivi della bandiera nazionale uzbeka, dando alla piazza un aspetto che non ha niente a che vedere con un antica città crocevia della via della seta. Più ti avvicini alla via principale con i suoi mercatini turistici ed i suoi ristoranti e più ti senti sempre nel bel mezzo di un parco divertimenti per turisti amanti di uno stile esotico/trash. Più ti allontani dalla via principale per inoltrarti nelle zone popolari, in alcune vie non troppo distanti dal meraviglioso bazar dei tappeti e dall`antica fortezza e più la città assume un aspetto che ha del sensazionale.
PPiccole stradine che s’intersecano andando a creare piacevoli labirinti dove è bello potersi perdere senza un punto di riferimento. Cortili e piccole case che si abbracciano come in un’incantevole armonia caotica nella quale non si riesce a capire quale sia l`ambiente privato e quello di libero passaggio, perdendosi tra le fragranze dei mosti di piccoli alberi di vite. E` un continuo gioco di sguardi e di reciproche gentilezze con i locali che accompagna il tuo cammino tra le vie popolari di Bukhoro in una notte fresca di Maggio. Camminando ogni tanto scorgi tra una casetta e l`altra, altissimi minareti che, in Asia centrale, hanno la specialità d’essere tappezzati da maioliche di colori turchesi e dorati, tipiche anche dell’Iran. Ogni tanto t`imbatti in un’imponente madrasa ed in una semplice moschea, fino ad impattare con il tuo sguardo nel minareto più alto e tra i più antichi di tutto l`Uzbekistan che posso dire esser stato tra i più belli che abbia mai visto. Dopo una cena rilassante con vista sul minareto, torniamo alla nostra dimora, dove la madre e la famiglia ci attenderanno con il loro meraviglioso calore offrendoci l`ultimo tè della giornata; un dolce bacio della buona notte dal sapore particolare. La mattina seguente proseguiamo il viaggio verso nord ovest, specificatamente Urgench e Khiva. Dopo un’attesa di quasi quattro ore ed un vario zig-zag tra autisti di taxi assetati di soldi, riusciamo a salire su di un bus di passaggio diretto a Urgench, città poco distante da Khiva. Il viaggio in bus durerà più di diciotto ore e tra il piatto panorama del deserto del Kyzylkum e la strada spesso dissestata, riposarsi è pressoché impossibile. Nonostante ciò, la seconda esperienza bus in Uzbekistan, riserva sempre qualche piacevole sorpresa; così scomodo per il suo sovraccarico di persone quanto così autentico per la presenza di soli locali; continuo a pensare che ne è valsa la pena.
Arriviamo ad Urgench a sera inoltrata, quasi al di fuori del limite d’orario concesso agli autobus per guidare nelle strade interurbane. Dato l’orario, il collegamento tram con la piccola città immersa nel deserto è sospeso, dobbiamo quindi optare per la contrattazione con un tassista privato. Fortunatamente riusciamo a trovare tre persone che si dirigono verso la città di Khiva, così contrattiamo un prezzo ragionevole riuscendo ad arrivare nella città non più tardi delle ventitré. Troviamo una graziosa guest house di fronte alle splendide mura della città vecchia e dopo una cena a base tradizionale sotto uno splendido cielo stellato, ci beviamo un dolcissimo cay coricandoci sui nostri letti ormai completamente esausti.
Il giorno successivo ci dirigiamo verso uno degli ingressi alla meravigliosa città, dove il minareto kalta minor si erge maestoso tra le case color sabbia. Nonostante la via centrale sia affollata da turisti, la città non ha del tutto perso il suo fascino antico. Come in ogni città visitata in precedenza basta spostarsi di poco dalla via principale e si viene sommersi da un mondo di incantevoli ed inaspettate sorprese. Cammini dopo esserti perduto volontariamente nel tradizionale labirinto di vicoli e ti ritrovi nel bel mezzo di un enorme mercato poco al di fuori della città antica, immerso nella zona più popolare della città.Senza nessuna attenzione alla nomenclatura delle vie ed alla cartina ti lasci seguire dai più svariati aromi che sopiscono anche la stanchezza derivata dal caldo afoso, affogando nel delizioso sapore della vita frenetica di un bazar tradizionale centroasiatico, senza la benché minima presenza di un gruppo di turisti o l’esistenza di un negozio adibito alla vendita esclusiva di prodotti per essi.
Lo snodarsi continuo di bancarelle che vendono ogni tipo di merce si alterna a piccoli spiazzi ricchi di griglie e piccole lokante ,gestite da losche figure dal sorriso dorato. L’olfatto comincia a vaneggiare in un così variegato mondo di profumi, oramai la mente sopisce ogni voglia di trovare la ragione del camminare lasciando che lo spirito continui a perdersi incontrando lo sguardo di un bambino e l’inglese bizzarro di un cambio valute irregolare. Le grida, il continuo strepito dei versi di svariati animali e lo scoppiettare della carne al fuoco divengono l’abituale leitmotiv del camminare in questi gioielli popolari tra le nebbie dei fumi provenienti dai ferri di griglie arrugginite e dall’innalzarsi di polvere di sabbia per il passaggio di un calesse o di un taxi. Passeggiando nella zona più vicina alle mura antiche, vieni come sempre accolto da generosi sorrisi e timidi tentativi di conversazione in Inglese da parte di alcune scolaresche di ritorno dalla giornata scolastica. E’ assurdo ed anche terribile come questi quartieri con così alti tassi di povertà si trovino a non più di venti metri di distanza da sfarzosi alberghi o case private a pagamento che forniscono all’ospite ogni genere di lusso nella totale invisibilità della situazione circostante. Ad un’ospitalità esotica, costruita ad uso e consumo del turista scialacquatore, preferisco di gran lunga l’accoglienza genuina di una famiglia povera che, nonostante la miseria e la carenza di generi da presentare, non disdegna mai l’offerta di un tè al forestiero ed un piccolo spiazzo all’interno di una modesta casa dove poterlo far coricare senza alcun tipo di ritorno economico.
Proprio grazie a queste piccolezze e queste autentiche attitudini, tuttora puoi respirare nell’immaginazione l’aria originale di un’antica città carovaniera; se si vuole gustare a pieno l’asia centrale e le sue meraviglie si deve obbligatoriamente passare per le zone popolari, consumandoci il maggiore del tempo possibile. E’ sera ed il sole comincia a tramontare sul deserti. Lentamente, il color sabbia delle antiche mura di Khiva si dipinge d’ uno straordinario tono rosaceo facendosi sempre più scuro e distante sulla via di ritorno per Urgench; qua decidiamo di prendere un treno notturno in terza classe (Platzkart) in direzione Samarcanda per poi dirigersi a Termiz, nella zona di confine con l’Afghanistan. Arrivederci Khiva.
La tappa precedente del viaggio.