Ti presento un lavoro: l’intervistatrice telefonica vista altrimenti
Oh voi, che avete sempre attaccato in faccia all’intervistatrice telefonici urlando parolacce: sapevate di essere una minoranza? Vergogna, eh?
Eppure è quello che ci racconta Irene P., che le interviste al telefono le fa per lavoro e che per una volta è stata felice di essere lei a dover rispondere alle domande di Facci un salto per raccontarsi a Ti presento un mestiere.
Pensavate che fare gli intervistatori telefonici fosse una noia assurda e deprimente, che si guadagna poco e che si viene sfruttati? Non tutti la pensano così, e Irene la vede diversamente.
Ma come, vi direte: dopo che la mitica Michela Murgia ci ha detto peste e corna con quel capolavoro che è “Il mondo deve sapere”! Non si tolga nulla al lavoro della Murgia: il racconto di Irene vuole soltanto mostrare un altro umile parere.
Irene fa fra i 400 ed i 900 euro mensili svegliandosi ogni giorno alle sette, facendosi due ore sui mezzi pubblici, iniziando e finendo ogni giorno l’ammontare di telefonate previste, con pause qua e là, con la possibilità di chiacchierare, leggere, stare al computer fra una telefonata ed un’altra, in attesa della nuova chiamata dal sistema. È uno dei tanti contratti a progetto: si è pagati un tot se si fanno tutte le interviste previste, se se ne fanno meno si va a scalare anche con il guadagno. Come tutti i contratti a progetto, vale quindi l’abilità dell’intervistatore/intervistatrice: con la giusta parlantina ed il giusto modo di porsi, se si hanno buoni turni si fanno anche 280 euro settimanali, afferma Irene.
“Insomma, non è sfruttamento, le condizioni sono decenti: la gente risponde abbastanza, anche se dipende dal tipo di indagini. Si va da quelle della Vodafone in cui chiami gente a caso e allora è difficile, a quelle per le banche in cui chiami i clienti per nome e cognome oppure le aziende e quindi bene o male le fai, fino a quelle dell’ISTAT che sono obbligatorie e sanzionabili”, racconta Irene. Già, perché gli intervistatori e le interviste non sono tutti uguali.
E gli insultoni che sembrano volare su per le cornette dei telefoni quando a chiamare sono gli intervistatori?
“Beh, di “cretini” e “vaffan*” ne hai sempre..due almeno come dose quotidiana, ma è comunque molto meno peggio di quello che pensavo”. Duro lavoro per l’autostima di spiriti sensibili.
Quale è stata la persona più a modo a cui hai telefonato?
“Facile da scegliere: un signore che dopo che gli avevo spiegato il motivo della telefonata, si è irritato ed ha cominciato a dirmi che le banche sono tutte m* che lui odia queste interviste inutili ecc ecc ecc, poi si è calmato e mi ha detto: “però, signorina, so che questo è il suo lavoro e lei ci campa, quindi sì: le farò questa intervista. Mi dica pure”. Volevo sposarlo!”
La situazione più buffa?
“ Tante… Gente che parte con tirate assurde, vecchietti che ci mettono ore e ore a capire che la risposta a una domanda che inizia con “da zero a dieci lei quanto darebbe..” non può essere “si si!”.
Una delle situazioni più assurde penso sia stata una volta in cui un tipo dopo che gli avevo spiegato che era un intervista dalla banca mi ha detto “no no lei è quella che mi chiama dalla Telecom, le riconosco la voce! Cosa vuole, perché la Telecom mi chiede cose sulla banca? Guardi che io l’ho riconosciuta a me non mi frega!” Avanti cosi per dieci minuti.”
E per farti assumere che procedura hai seguito?
“Per farmi assumere ho telefonato al numero che mi aveva dato un amico che lavora li, ho fatto un colloquio con altre cinque persone, poi una giornata di formazione e un pomeriggio di prova… dopo un paio di settimane mi hanno chiamato per il primo progetto, prima cose semplici, poi via via più serie. Da qualche mese sto più o meno fissa a chiamare le aziende per una banca: essendo una cosa “seria” riesco a farne anche una quarantina al giorno.”
Se Irene è soddisfatta del suo lavoro? Sì! “Pensavo fosse terribile invece non è male per niente”, racconta a Facci un Salto.
La controbilancia alla Murgia? Forse semplicemente il parere ovviamente diverso che due persone diverse possono avere su uno stesso lavoro: una, ragazza ancora curiosa e vogliosa di tentare la fortuna da sé, l’altra, donna matura in cerca di certezze nel futuro e non più disposta al precariato.
Per noi, “resto del mondo”, la realtà dei fatti risulta ancora forse poco nitida e concreta, posata sulla nuvoletta del telefono che misteriosamente squilla alle ore pasti e alla voce di qualcuno che fa “sicuro a quest’ora sono le interviste”. La realtà sta lì, abbarbicata probabilmente nel suono del telefono e fra due descrizione diametralmente opposte di una stessa realtà.