Corsa ai regali di Natale in tempo di crisi
È vero, siamo appena agli inizi di novembre, un po’ presto per la corsa ai regali di Natale, ma quest’anno mi porto avanti con questo triste rituale. Amo il Natale, ma odio dover uscire a comprare i regali ad amici e parenti, mi stressa perfino l’idea di cercarli sul web.
Non sono misantropa, tutt’altro, ma il tasso idiolemico che inonda strade e negozi nei giorni delle festività natalizie tira fuori la mia parte peggiore. Purtroppo sono sempre stata una ritardataria, quindi mi è capitato di cercare i regali negli ultimi giorni utili, perfino il 24 sera. Delirio e lacrime. Ma quest’anno no, quest’anno non mi faccio fregare. E poi c’è la crisi, mica ho soldi da buttare: quest’anno si autoproduce. E non solo, i regali di Natale saranno per pochi intimi.
Ricordo un anno in particolare, credo di 5 o 6 anni fa. Allora i soldi circolavano di più, e non solo nelle mie tasche, in quelle di tutti. Ero uscita di casa in ritardo, per l’appunto. 24 dicembre, ore 17. E cosa vuoi fare a quell’ora? In realtà pensavo proprio che non avrei incontrato nessuno, perché nessuno può essere così patetico da fare shopping la sera della vigilia, a parte me. Invece no. Calcolo sbagliato. Strade affollate, negozi stracolmi e, per non farti mancare niente, pioggia.
I regali da prendere non erano poi tanti, giusto un pensierino per i miei, qualche amica, un paio di parenti e un embrione di fidanzato. Da dove cominciare? I regali per gli uomini sono sempre i più difficili. Io non riesco a uscire dal circolo vizioso di cinture, portafogli, profumo, maglioni. Accetto suggerimenti, se qualcuno sa cosa si può regalare a un uomo con un budget che non necessiti una rapina in banca mi scriva, perché le idee per i cromosomi XY sono finite.
I regali da prendere non erano poi tanti, giusto un pensierino per i miei, qualche amica, un paio di parenti e un embrione di fidanzato
La fila arriva fino alla soglia. Odore di pelle nauseabondo, misto a profumo dozzinale di signora obesa e lucida davanti a me. Borsetta ingombrante che mi trafigge la costola fluttuante destra ogni volta che si gira per vedere se piove ancora. Covo odio. Dietro di me lo spazio vitale si restringe drasticamente. Uomo in abito con odore di naftalina alle mie spalle. Mi sento in trappola e inizio a detestare il Natale. L’uomo ha anche l’alito alla naftalina, per cui le cose sono due: o ha mangiato le palline per conservare gli abiti o era conservato in un armadio assieme a quelli che indossava. Piove. Tic, tic, tic,tic, tanto ho l’ombrello, chi se ne frega; swoooashhh, oh cavolo, mi ci vuole la pagaia ora!
Ma perché ci mettono così tanto? – pensavo. Cerco di strabuzzare tra la spalla della signora grassa e il naso aquilino, su cui ci si poteva appendere un ombrello, di un’altra signora, questa volta magra, di circa 50 anni e un trucco da mignottone. Non vedo niente. Per forza, sono alta due mele o poco più. No, quelli erano i puffi. Io arrivo a un ragguardevole metroecinquantotto. Mi metto sulle punte e cerco con lo sguardo la cassa e le commesse. La cassa, logicamente, è senza presidio. L’unica commessa sta servendo una donna con pelliccia di Barbabarba e boccoli alla Baby Jane. Paura. La donna la sta ubriacando di parole. La commessa soccombe sotto una miriade di consonanti che si sfregano tra i due incisivi della donna, larghi come i rebbi di una forchetta. Vedo lo sguardo da vitello della commessa che si perde tra gli articoli negli scaffali. Su bella, dai, compra una vocale e gira la ruota che sono già le 18 e 30 e io devo ancora fare un sacco di giri, e con la pioggia battente.
La donna bofonchia qualcosa, la commessa ha un’espressione inutile. Sembra di leggerle il fumetto sulla testa “È il 24 sera, sono qui a spaccarmi le balle al lavoro, arriverò tardi alla cena con il mio ragazzo, andiamo brutta stronza deciditi, prendi quella fottuta borsetta di Alviero Martini e vattene. Oh porca miseria! Non faccio in tempo a farmi le unghie coi brillantini!”. Mi sembra quasi di vedere il suo labiale. Intanto l’uomo alla naftalina si avvicina ancora. Sento il suo calore puzzolente. Sono tra due fuochi, la donna lucida con borsetta contundente e l’uomo-dell’armadio-dimenticato.
Mi viene da far pipì. Il rumore della pioggia non aiuta. Finalmente la donna si decide e non compra nulla. Esce dal negozio sotto lo sguardo di fuoco della commessa. La fila avanza. Ci sono speranze. Intanto passa un Babbo Natale secco con un’evidente pancia finta che fa “Oh, oh, oh, Merry Christmas!”. Già. Se non si sbrigano rischio di passare il Natale qui dentro. Arriva, dopo un’ora e 5 minuti, il mio turno. Compro la prima cosa che trovo, non me ne frega niente della marca, del colore e del pacchetto. Un regalo è fatto. Corro come una disperata per racimolare gli altri e alle 20 ho finito, per fortuna e per forza, visto che i negozi stanno chiudendo.
Ma quest’anno no, i regali di Natale sono già stati scelti, anche quello per il mio bambino che, in quanto maschio, inizia a mettermi in difficoltà. Tutta roba hand made, e così si risparmia. Non è il caso di fare la fila nei negozi, in tempo di crisi.