Keep calm and live in Australia
Per evitare che anche a voi inizi a surriscaldarsi il cervello con relative fumate bianche dalle orecchie a causa dell’ingente quantità di informazioni che riporterò nel diario di oggi, vi avviso: acquisite tutto con nonchalance e non preoccupatevene più del dovuto. Il rischio è, infatti, una notte insonne da passare con il battito cardiaco in accelerazione, confusione mentale a livelli biblici compresa. Testato.
Cominciamo. Ore 8.30 del mattino. E’ troppo tardi per la camminata quotidiana che mi accompagna al lavoro con auricolari e pensieri esistenziali, indi per cui opto per il tram che passa per Errol Street, una delle “principali” vie della zona in cui abito ora: North Melbourne. Ormai esperta di attraversamenti semaforici senza dover attendere ogni volta il verde per i pedoni, arrivo alla fermata del numero 57 giusto in tempo per saltare su quello delle 08:34. Ma perché? Perché non l’ho perso? Perché non posso fare come su “Sliding doors”, il film, dove vedi cosa sarebbe successo se quel maledetto mezzo pubblico lo avessi perso? Perché no Laura, così doveva essere. Rassegnati.
Mi siedo ancora mezza assonnata cercando l’angoletto di sedile dove batte il sole, ancora timido in primavera nonostante la sua mortale indole in questo Paese dove il buco dell’ozono ha pensato bene di piantare radici. Tre – non molto giovani – personaggi attirano l’attenzione di tutti i passeggeri con le loro urla e i molesti schiamazzi mentre sorseggiano Jim Beam e Cola in lattina; suppongo non sia il primo drink della giornata, ma l’ennesimo di una lunga lista cominciata la notte prima; almeno me lo auguro, altrimenti le guance paonazze e gli occhi strabuzzanti sono chiaro sintomo di chissà quali, ben altri problemi. Mi chiudo a riccio un po’ per il freddo e un po’ per preservare la mia privacy mentre qualche schizzo di bevanda vola da un capo all’altro della vettura a causa della poca accortezza dei suddetti elementi. Il tragitto dura poco, ma nonostante la riservatezza, riesco comunque a prendermi insulti gratuiti mentre scendo alla mia fermata. Buon giorno Melbourne! Se fossimo in un film di Pieraccioni, la risposta a questo saluto sarebbe “Bonjorno ‘na sega”. Lezione numero uno: non sempre mantenere le distanze, aiuta.
Ore 10. Primo appuntamento del giorno legato al mio dovere di “procacciatrice di studenti” per il Centro per cui lavoro. Visito luoghi chiamati Family day care, che, se dovessi trovarci un corrispettivo italiano, li chiamerei asili nido privati, ma ancora non renderebbe l’idea. Immaginatevi una casa dove qualche mamma, dopo aver conseguito la qualifica necessaria, si mette a disposizione per prendersi cura dei bambini di donne lavoratrici.
L’Istituto per cui lavoro promuove i corsi per ottenere queste qualifiche di cui hanno bisogno per poter lavorare. Fin qui ci siamo, no? Il novanta per cento di questi centri fa riferimento ad altri più grandi, e sono quasi tutti gestiti da comunità musulmane o simili che usufruiscono di sussidi statali offerti dal governo. Questa lunga premessa per arrivare alla lezione numero due: quando incontri uomini musulmani iper ortodossi ricordati di non porgere la mano per il classico “piacere, sono Laura” perché stai offrendo loro un biglietto di sola andata per l’inferno, maledetta donna tentatrice. (Questo va ad aggiungersi al levarsi le scarpe quando si entra in casa imparato qualche settimana prima).
Ore 12. Incontro in un Community Center con annesso asilo di comunità. Arrivo alla porta e mi sento come Alice nel Paese delle Meraviglie e le dimensioni sfasate: la maniglia della porta si trova al di sopra della mia testa. Mi chiedo se sia per assicurare la sicurezza dei bambini che in questo modo non possono sicuramente uscire dall’edificio, ma non oso chiederlo alle maestre per non sembrare stupida. Facciamo che non lo cerco nemmeno su google e mantengo il significato di questa pratica della “maniglia irraggiungibile” come grande scoperta sul campo con un velo di mistero; in effetti potrebbe tornare utile in futuro come aneddoto curioso. Saluto il personale con cui ho scambiato qualche parola, avvertendo che ci sarà un incontro per parlare meglio dei corsi, e chiedendo se parteciperanno o meno: certo, rispondono. Poi, non verranno. Lezione numero tre: spesso e volentieri in questa nazione, le persone per non sembrare scortesi, rispondono positivamente agli inviti per poi non presentarsi. Ma non sarebbe più cortese rispondere “No mi dispiace, non posso”? Culture diverse. Prendi e porta a casa.
Ore 14. Sono giorni che attendo con ansia il primo assegno dopo due settimane di lavoro. Il “domani sarà pronto” dura da troppi “domani“ormai; decido di andare al piano di sopra dal Boss, e chiedere direttamente a lui. Busso, apro la porta e scopro che l’ufficio del capo è come la regia di uno studio televisivo. Mi spiego: le telecamere che avevo notato già all’inizio, agli angoli della sala dove lavoro, non erano innocenti punti di osservazione nel caso di intrusione da parte di terzi, bensì mezzi di controllo del personale gestito personalmente dall’illustrissimo manager che, seduto in poltrona, ci osserva in stile Grande Fratello. (Aggiungiamo il gatto malefico Satanasso e il guanto e abbiamo creato il Boss Artiglio dell’Ispettore Gadget). Se sia legale o meno, non lo so. Spero che le toilettes siano esonerate dal circuito chiuso. Oltre al nervoso del dover pregare anche qui le persone perché ti diano la retribuzione che ti spetta, come spesso e volentieri accadeva in Italia, anche la bruttissima sensazione dell’essere spiati otto ore al giorno. Sgrunt. Ma per cosa poi? Dove siamo? Alla NASA? Chissà… Lezione numero quattro: vattene appena puoi.
Ore 16. E’ quasi ora di andare a casa, ma la gentile collega che sta festeggiando uno dei momenti più importanti della religione di cui è fedele sostenitrice, offre decorazione all’hennè a tutto lo staff. Perché no? Facciamoci decorare i piedi. Il risultato è carino e apprezzabile, e anche la mezz’ora passata ad ascoltare i suoi racconti (o sermoni, meglio dire), che celavano un messaggio simile a “tu miscredente, non capisci l’importanza di seguire certe pratiche per il nostro Dio”, non la rimpiango. Lezione numero cinque: c’e’ sempre qualcosa da imparare; per la cronaca: il Corano parlava del ciclo mestruale, ancora prima che gli scienziati lo scoprissero e i medici lo studiassero. Ergo, chi segue le leggi del Corano, è un pozzo di scienza. Va bene gentile collega, ne prendo atto.
Ore 17. Si va a casa. Sento odore di bruciato che fuoriesce dalla scatola cranica; devo aver sovraccaricato le sinapsi. Passeggiando in direzione sud, verso casa, passo attraverso uno dei tanti parchi di Melbourne. C’e’ un padre, credo, che gioca e scherza con i figli, che gli si gettano addosso dopo brevi rincorse, buttandolo a terra sommergendolo di baci e abbracci. Mi arrivano i suoni distorti delle risate infantili e i gridolini generati dal solletico dell’adulto una volta afferrata la prole in caduta libera. Questa è una scena che vale la pena osservare e ponderare, quindi mi fermo a guardarla da lontano per apprezzarne il sentimento, con espressione sciocca ma gentile. Poco importa se i passanti penseranno sia una stalker o una pazza maniaca: scatto una foto. Troppo lontani perché si vedano bene. Non importa, li ho impressi nella mia memoria. Lezione numero sei: portati via una macchina fotografica decente per eventuali scene memorabili che potrebbero giovare ad anima e cuore.
Ore 18. Casa. Apro la porta: “E’ venuta la padrona di casa: ha messo le trappole per l’opossum cosi’ muore e non se ne parla più“! Allarme ebollizione. Vapore. Fischio. Boooooom!