Dall’autore al reading passando per il libro: Cartongesso
E poi succede che a Palermo, dove le presentazioni dei libri il più delle volte sono quarantaquattro palle in fila per tre col resto di due, spunti una ventata di novità. Nessuno inventa niente, ognuno rielabora cose già viste e fatte, però, eccabbaso, è proprio del talento saper scegliere gli ingredienti quando c’è da rielaborare.
Francesco Maino al Booq – ex Parco Tomasi di Lampedusa, sede di tanti corsi di scrittura creativa, serate di lettura, rimasto chiuso per diversi anni e adesso okkupato.
Pareti bianche, un lenzuolo bianco, una lampada. E lui che legge non tenendo conto di tutte quelle regole che andrebbero rispettate in una lettura espressiva: è seduto e non guarda il pubblico. Legge arcuando la schiena in un movimento ritmico che sottolinea un andamento delirante della voce. Come delirante è l’argomento del suo romanzo, ossessivo nelle ripetizioni, accumuli continui dove le frasi lievitano e si gonfiano ed esplodono e lievitano ancora, senza interruzione, in una continuità ipnotica che non ti consente di staccare gli occhi dalla pagina. Maino non dà spazio al lettore. Lo tiene alla catena.
La sintonia testo-lettore-lettura incolla alla sedia (normalmente dopo quindici minuti di presentazione tanti si ricordano di un altro impegno).
Dura tanto il reading. E molti dichiarano di non aver mai visto nulla del genere. E poco importa l’argomento del libro, il premio Calvino, l’ingresso in Einaudi tra i Supercoralli. Maino si pone al centro, tutto attorno solo sguardi ammirati – Maino con il suo tono ossessivo, sincopato, che parte dalla dispersione degli addendi per arrendersi davanti a somme che non rasserenano, pure dopo le letture quando le domande cercano vicinanze e distanze tra l’autore e il personaggio. Maino continua allo stesso modo pure quando le luci sono spente e si parla di mangiare una pizza da qualche parte.
Non c’è distanza tra l’autore e l’opera quando la scrittura nasce con l’impronta della visceralità. Anche quando ti accorgi che ci potrebbero essere tanti altri modi di essere e tra tanti l’autore ha scelto quello che, nella sua problematicità, meglio riesce a rappresentare frantumi di esistenza, e ne fa modo di porgersi oltre che di scrivere. Perché i grandi libri continuano ad esserci anche dopo l’ultima pagina.