Second Life
Immerso nel traffico Alfredo quasi se la gode. Questo andare lento, di poco gas e tanta frizione, quasi lo rilassa. Può pensare, e lo stupido strombazzare degli altri non lo sfiora. Anzi, produce in lui un senso di compatimento verso coloro che vedono nel clacson una specie di ultima spiaggia per farsi largo, un grido di disperazione urlato pigiando un piastrone sullo sterzo, con annessa imprecazione non sottoscrivibile in Vaticano.
Quattro file, ordinate e rapide come una mandria di bovini al pascolo, vigili in luogo dei semafori per sveltire il flusso: ma per chi è nell’auto la colpa risiede propria in quella maledetta paletta che non segue la logica della selezione naturale tra autisti brillanti e lumaconi genetici: tratta tutti nello stesso modo e questo, qui la democrazia non c’entra, è intollerabile.
Ma Alfredo Luchetti è felice. E’ uscito dall’ufficio diretto come sempre verso casa, più rilassato del solito. Di norma la fine del lavoro coincide con l’accumulo dell’ansia dell’intera giornata con il traffico, appunto: l’ansia di non poter scaricare l’ansia del lavoro a causa dell’ansia dell’ora di punta, in attesa dell’ansia di casa, fatta di moglie lievemente petulante di figli, due di sesso diverso, lievemente urloni, frutto di una educazione sommaria e poco puntuale.
Luchetti calcola di avere ancora venticinque minuti buoni di quiete interiore, di lucida incoscienza, prima di prendere decisioni forse definitive. “E’ questo il mondo?” si è chiesto spesso e, soprattutto, “Sarà sempre così?”. Non è turbato da dilemmi teleologici o palingenetici, si riferisce alla propria piccolissima ma irrinunciabile esistenza. Ha percepito che è giunto il momento. Non sa perché, ma sa che è giunto. Non ha visto la luce, né è caduto da cavallo, ma un pigolio interiore gli ha fatto capire che deve svoltare. Tagliare i ponti, fare del passato il passato e non il presente, tanto meno il futuro.
Ha anche capito che c’è una difficoltà pratica: farsi capire. Sa già che se dicesse a casa o agli amici: “Sono stufo, non ne posso più di me e di voi e della vita che faccio”, le risposte sarebbero: “Forse sei un po’ esaurito, sei stanco, fatti vedere dal dottore, fai una chiacchierata con il mio analista, cambia lavoro, prenditi una vacanza con tua moglie e lascia i bambini dai suoceri…” e così via. Nessuno vuole assistere a cambiamenti radicali, perché anche quelli degli altri pongono problemi e domande a noi stessi… Ecco quindi la ricerca di una soluzione che tagli i tempi e le discussioni: unica via è una antica soluzione, quella che vede la menzogna più accettabile della verità.
Giunto a casa è pronto per affrontare la moglie. Che, nel vederlo a mani vuote, lo apostrofa: “E il pane? Dove il pane? Sei il solito sbuccione. Non ti si può chiedere mai nulla…”. Lui la guarda e scandisce: “Amo Natascia…”. “Cooosa?!”. “Natascia, una bellissima ucraina di quindici anni più giovane di me. Vado a vivere con lei”.
La moglie è ancora lì immobile, ancora con il mestolo in mano, sembra una statua in onore della massaia.
Il traffico si è sfoltito. Luchetti guida spedito, anche se non ha ancora deciso la direzione. Spera solo che quei rompiballe delle trasmissioni televisive non si mettano a cercarlo. Vuole una second life, ma reale, di virtuale gli è bastata la prima.