De sbronza et postumi pensieri
<<Giuro, questa è l’ultima volta che prendo una sbronza. Adesso niente alcol per una settimana e poi solo con estrema moderazione>>.
Ahi, che mal di testa! Dormiamoci su.
Poi vi risvegliate e, affrettandovi per arrivare alla tazza del wc e battere il nuovo record di pipì più lunga della storia, ripensate ai propositi altezzosi (per non dire alticci) della sera prima.
<<Naaaaaaaa!>>
Le considerazioni ragionevoli evaporano insieme all’alcol. Il corpo non le riconosce come indigene e le rigetta.
Eppure, in vino veritas. I pensieri etilici sono tra i più genuini. Un po’ come le frasi taglienti che escono quando si litiga. Magari, nella fattispecie, non saranno così brutali, ma hanno pur sempre un fondo di verità. Sono figli di un pensiero libero dalla briglia dell’autocontrollo. Sono come i sogni: campanelli che suonano sulle note del nostro sentire più vero. Raccolgono fatti, emozioni e immagini che ci hanno colpiti di più, magari senza la nostra consapevolezza. Fanno riaffiorare i nostri più grandi desideri, ma anche le peggiori paure. Senza mezze misure.
Avete mai notato che il mondo dopo una sbronza è solo bianco o nero? Che le persone o le adori o le odi? Avanzo un’ipotesi, senza per altro avere alcuna competenza in psicologia, ma solo in viaggi mentali e auto analisi: la capacità di ponderare il pensiero e di formulare giudizi eterogenei rientra nelle facoltà più elevate e razionali, dunque si sostanzia di autocontrollo, grande assente se il bicchiere è vuoto e la gola innaffiata.
E poi le figure. Le figure! Non quelle adesive della Panini, purtroppo. Le grandi confessioni e le frasi smodate, i toni accesi e le uscite fuori luogo. Tutte quelle cose carine che il giorno dopo ti fanno venir voglia di prendere una pala e scavarti una buca. O, più semplicemente, costituiscono il filo conduttore della catena di messaggi di scuse.
E voi come le prendete le sbronze? Siete tipi da paranoia, di quelli che diventano tristi e sfogano per ore le ingiustizie della vita contro tutti e contro tutto (e qui si spera che i vostri accompagnatori siano altrettanto poco sobri da potervi mandare a quel paese senza se e senza ma), oppure inclini all’iper-logorrìa e all’iper-socievolezza? Diventate aggressivi o peace&love? In ogni caso, non si tratta di reazioni random: ognuno libera se stesso, lascia affiorare la sua natura più intima. Non è qualcosa che si può scegliere.
Certo è che si parla di fasi moderate: allegrezza, non ubriachezza, per intenderci. E’ un po’ la differenza tra bere da soli o in compagnia. Alle 15 o alle 19. Direttamente dalla bottiglia o in un bel bicchiere. A tutti può capitare di esagerare, magari anche stando male, ma, lasciatevelo dire da una che non disdegna mai un cin cin, è affare poco furbo. Perché: o lo vuoi o non ti conosci. A un certo punto, infatti, arriva lo stop: il momento, cioè, in cui non è più un piacere, ma un fastidio. E allora quello che ricerchi, se continui, non è lo svago del mentre, ma il black-out del dopo.
Desta tanta preoccupazione l’argomento “alcol e giovani“, ma dovrebbe impensierire di più una domanda: perché alcuni cercano a tutti i costi di ubriacarsi fino a star male? Non ci vuole un genio per capire che alla base c’è un problema più serio della semplice bevuta, che prima ancora di preoccuparci della cirrosi epatica o del coma etilico dovremmo chiederci che cosa spinge quei soggetti a risolvere tutto con l’alcol. Le ipotesi sono infinite e di certo applicabili solo ad personam, anche se, semplificando fino all’estremo, si possono dividere in due grandi categorie: il problema del sabato sera; il problema del resto della settimana. Ovvero, quelli per cui l’alcol diventa un modo per affrontare contesti sociali in cui in realtà si sente fuori posto, per vincere il disagio dello stare con gli altri o per sentirsi uguale al resto del gruppo. Oppure chi arriva stremato dai problemi – magari a scuola, in famiglia o sul lavoro – e deliberatamente cerca qualche ora di oblio.
Purtroppo la crisi non aiuta. I ragazzini hanno sempre meno soldi per bere nei locali, così risolvono la questione con quelle squallidissime feste alcoliche casalinghe, a base di vodka, birra e patatine. Oltre che economico, il problema è anche sociale. E i fautori del proibizionismo ne sono in larga misura artefici. Basta fare un confronto con i Paesi del Nord Europa e con gli Stati Uniti. Lì bere è vietato per i minorenni. Lo è sempre stato. Eppure i casi di alcolismo, anche tra giovanissimi, sono di gran lunga superiori rispetto all’Europa mediterranea. Così in Italia: da quando si sono inasprite le regole, la situazione non è affatto migliorata, anzi. Un po’ per occorrenza, un po’ per il gusto del proibito.
Ma ora basta scriver di Bacco, vino e bicchieri, ché ogni volta che mi interrompo devo riniziar daccapo. E riniziar daccapo, giusto per mettere in pace il verbo con il facto, comporta dare una sferzata al mio tasso alcolemico. Insomma, un modo del tutto personale di intendere significante e significato. A chiosa, dunque, l’invito molto hippy, poco hipster, molto peace, poco love:
fate l’aperitivo, non fate la guerra.