Ischia e quella terrazza su Napoli
Era passata una settimana e i miei muscoli iniziavano a mollare la presa, si stavano rilassando. Questa cosa mi fece paura. La temevo. Io non ero abituato a rilassarmi, a fermarmi, a concedermi pause. E invece l’isola mi stava addosso e mi imponeva i suoi ritmi diversi. Il tempo è denaro, non va sprecato non impegnandolo. In Borsa anche il caffè non è una pausa, è solo una botta di energia al momento giusto, che ti carica mentre vaghi tra l’essere niente e il sentirti Dio. Fu Francesco a distogliermi da quei pensieri mattutini. Mi dette una pacca sulla spalla e mi invitò a seguirlo al campo di Maria. Io questa Maria non la conoscevo ma annuii mentre salivo sull’Ape Piaggio che tanto mi divertiva.
Era come un balocco da grandi, che ti fa tornare indietro nel tempo
Ci avviammo verso Forio, in una mattina che regalava nuovi panorami e poi iniziammo a salire fino ad arrivare da lei. Ci accolse con un sorriso radioso. I suoi occhi brillavano e avevano il colore del mare, in quel tratto di isola che vibrava di azzurro e di giada. Maria dette un abbraccio a Francesco e poi strinse anche me. Quello fu il suo benvenuto. Rimasi colpito. Venivo da un mondo di formalità, di sorrisi e colpi bassi, di pugnalate improvvise anche da chi non te l’aspetti, strette di mano molli che dicono tanto, giacche e cravatte che ti serrano il respiro. Inspirai, guardai Maria, sorrisi come non avevo mai fatto. A pelle mi piaceva, proprio a me che non credevo mai alla prima impressione, piuttosto la respingevo, sicuro che degli altri non devi fidarti mai. E adesso ero invece accerchiato di bellezza, dolcezza, di un mondo nuovo. Cosa avrei dovuto fare? Decisi semplicemente di seguire la lista dei desideri di mia madre Lucia, volevo conoscere la donna che stava dietro la porta blu e poi sarei tornato alla mia vita di sempre. Ischia sarebbe stata solo una pausa. Ma il mondo, là fuori, mi avrebbe aspettato?
“Sei proprio come ti descriveva Lucia”, confessò Maria mentre mi invitava a sedermi in una grande aia contornata di piante da cui pendevano grassi limoni.
Mi si gelò quel poco sangue che avevo addosso. Anche lei conosceva mia madre? E perché Francesco mi aveva portato lì?
Qualunque scherzo il destino mi stesse giocando avevo solo una certezza, avrei vinto io.
“Mi par di capire che Lucia abbia fatto amicizia con tutta l’isola”, commentai, provando poi a spostare la conversazione sull’azienda agricola di Maria e sulle sue marmellate di agrumi tanto celebrate da Francesco.
Lei si alzò con uno scatto felino, abbandonò per pochi attimi il tavolino di maiolica al quale ci aveva fatto accomodare e volò in cucina.
Francesco aveva rivolto gli occhi all’orizzonte, perso nei contorni definiti di Ponza e Ventotene. Me le indicò, ma io volevo solo che Maria tornasse velocemente da noi, da me.
Passai le dita sulle mattonelle lisce e mi persi, per qualche attimo, in quei colori. Il rosso, il giallo, il blu. I tocchi di verde, l’arancio brillante e acceso. Il bianco, che faceva risplendere tutto il resto.
Anche mia madre, nella sua casa, aveva la cucina tempestata di maioliche. In sala tenevamo un tavolino simile a quello di Maria, lungo, rettangolare, che ospitava le nostre cene in compagnia.
Credo di non aver mai fatto caso al fatto che casa nostra non rispecchiava i classici appartamenti del centro di Roma, pareva piuttosto una casa di mare. Mio padre non l’apprezzava, ma Lucia faceva sempre di testa sua, spostava l’arredamento, cambiava le tende, portava l’azzurro ovunque, fece crescere una pianta di buganvillee lungo il muro del terrazzo. A primavera rimaneva ore a guardarla mentre scriveva lunghe pagine sul suo taccuino. In mezzo ai suoi oggetti Lucia si alienava ed io ero solo un bambino che passava ore a guardarla. In quei momenti odiavo i suoi sogni che la portavano lontano da me.
Ci pensò Maria a distogliermi da quegli strani ricordi che tornavano sempre più spesso a farmi visita. Non amavo ricordare, non faceva parte di me, eppure in quei giorni non potevo farne a meno. Le istantanee del passato mi venivano addosso, si prendevano gioco di me, venivano a trovarmi all’improvviso, di giorno, di notte, mentre rimanevo assopito tra i vigneti, disteso sulla terra, con Vasco che mi guardava e poi gettava il muso a terra, alla ricerca di ombra e sole.
“Ecco, senti questa, Lucia l’adorava. Marmellata di arance”.
Aprì il barattolo e sentii un aroma incredibile sprigionare da quel pezzo di vetro rotondo. Aveva i profumi di Ischia, degli aranceti del giardino di quella bionda donna che mi trattava come se fossi un vecchio amico.
“Ogni volta che tua madre veniva qua”, continuò Maria, “passava del tempo con me a cucinare. La rallegrava, la rendeva felice”.
“Lucia veniva spesso qua?” chiesi.
“Quando poteva”.
“E… veniva sola?”.
“Sola”, rispose Maria mentre mi invitava ad assaggiare un boccone di pane salato cosparso di confettura. “Le volevo bene, sai”, aggiunse.
“Maria, con te voglio essere sincero perché mi sembra di essere catapultato in una realtà che non conoscevo”, confessai. ” Io non sapevo minimamente che mia madre passasse dei giorni su quest’isola, non mi ha mai parlato di questi suoi viaggi, della vostra amicizia, dell’amore per questo posto. Io sto scoprendo una Lucia che non conoscevo, una Lucia che non è mia madre. Voglio sapere tutto. Tutto di lei. Tirai fuori dal portafogli la lista di desideri scritta a mano da Lucia, su quel foglio stropicciato dal quale ormai non riuscivo più a separarmi. Leggiamola insieme, dissi. Aiutami a capirla. Aiutami”.
Non avevo mai chiesto aiuto a nessuno, nella mia vita. Era una roba da deboli.
Affossai il viso dentro le mani aperte come conchiglie sulla spiaggia. Piansi senza ritegno. Francesco continuava a guardare il mare, non si spostò di un centimetro.
Disse solo che molte cose che dovevo sapere venivano da là. Oltre il mare. Da quella città caotica e babelica.
“Lucia amava Napoli”, ricordò Francesco. “E passava il tempo a guardare la sua vita da qua. Si perdeva nel profilo del Vesuvio e una lacrima salata le solcava ogni volta il volto bello”.
Si voltò, mi guardò dritto negli occhi. “Vai fino in fondo, Ranieri”.
Maria mi strinse con un abbraccio da dietro.
Per la prima vera volta nella vita mi emozionai. Niente era chiaro, i calcoli non tornavano, i miei giorni non erano più fatti di addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni, percentuali, denaro, dati, numeri.
Stavo piangendo. Cazzo, stavo piangendo. Non sapevo più chi ero io, avevo perso ogni riferimento. Dovevo iniziare tutto daccapo. E dovevo farlo lì, in quel pezzo di terra appoggiato sulle acque del Tirreno. Lì, dove la mia vita si era come spezzata. Dove stavo galleggiando, senza meta. Lì dove ero indifeso. Povero. Solo.
Ah, dimenticavo…c’è chi ama Ischia come me! Se siete curiosi...leggete qui