Uzbekistan, verso il kyrgyzstan attraversando la valle del Fergana
Nota dell’Autore: in questa tappa non ho prodotto fotografie per vari problemi. La foto inserita è di un amico e compagno di viaggio per una parte dell’itinerario tra Russia, Asia Centrale, Medioriente e Balcani, Filippo Gerbino
L’arrivo a Tashkent dopo l’esperienza della platzkart non è stato proprio dei migliori. Aldilà dell’essere circondato da tassisti assetati di soldi, la situazione si dimostra da subito pesante: l’aria che mi circonda è irrespirabile ed una folta coltre grigia riempie l’intera zona circostante la stazione dei treni, dandole un aspetto di cupa anonimità.
Arrivato nella capitale uzbeka, sono molto stanco e l’ora è davvero tarda. Contratto quindi un buon prezzo con un tassista del luogo, per andare alla mia piccola guest house vicino al nominatissimo bazar “Chorsu”.
La guest house si trova a due passi dal centro storico della città, una delle poche zone della capitale più affascinanti e tradizionali. Questa è difatti la zona popolare del centro di Tashkent che il governo uzbeko ha vergognosamente racchiuso tra alcune orribili mura, tappandone la visuale a chi cammina tra le vecchie madrase circostanti ed il tradizionale bazar centrale. Arrivato alla guest house, non riesco a fare altro che stendermi sul letto ed addormentarmi, cullando la mia stanchezza tra sogni di splendide città che richiamano nuovamente alla mente l’antica via della seta.
Il giorno seguente mi affaccio per la prima volta nella realtà uzbeka, abbracciando la vitalità di uno dei bazar più grandi ed interessanti di tutta l’Asia centrale, il suddetto Chorsu.
La struttura centrale del bazar è dominata da un’immensa cupola blu, ben visibile da molte delle vie adiacenti e da altre più piccole sorelle poco più distanti da essa. Intorno ad esse il frastuono di piccole bancarelle e di alcune botteghe riempie l’aria di una vitalità tipica dei paesi toccati dalla via della seta. Mi addentro tra venditori di cianfrusaglie varie e sete d’ogni colore, lasciandomi rapire dal profumo degli shashlik (spiedini di carne e verdure) tra un cambiavalute irregolari che offrono convenientissimi tassi di cambio ed un bizzarro domatore di polli.
Riconosco i sapori delle spezie, il continuo fermento tipico dei bazar asiatici e molte genti vestite con sgargianti abiti tradizionali. Dopo il primo e fulmineo impatto con il Kazakhstan, mi sono finalmente inoltrato in Asia centrale, benvenuto Uzbekistan.
Nel gran paese centro asiatico opterò primariamente per il girovagare in zone più remote, verso i confini con il Kyrgyzstan ed il Tajikistan, nell’imponente e quanto mai meravigliosa valle del Fergana; dopodiché mi recherò in Kyrgyzstan, per poi rientrare dopo alcuni giorni nel paese di Tamerlano.
In una delle tante stazioni taxi della capitale, all’alba del giorno successivo, riesco così a contrattare un posto su di una marshrutka (taxi collettivo) ad un ottimo prezzo, in direzione Andijon.
Andijon e la valle del Fergana, nomi che richiamano alla mia mente massacri e conflitti etnici tra kyrghyz ed uzbeki oltre pesantissimi scontri tra la popolazione locale ed il governo centrale, che mai si sono sopiti con l’andare degli anni.
Il taxi sfreccia a velocità impensabili schivando buche inerpicandosi verso alti passi di montagna tra spaventosi tornanti e paesaggi innevati. Passiamo tra una serie innumerevole di paesaggi differenti, caratterizzati ognuno da profumi, colori e suoni singolari. Siamo passati da una landa di campi di cotone nei dintorni di Tashkent ad un altopiano caratterizzato da piccoli canyon, superando poi i 3000 Mt di altezza tra paesaggi glaciali e nevi perenni.
Superato l’alto passo di montagna, l’emozione del transitare nella valle del Fergana va aumentando. Lo sguardo continua a perdersi tra brughiere interminabili e piccoli villaggi ai piedi di splendide alture, incrociando poi in una breve pausa presso un piccolo bazar tra Fergana ed Andijon l’abbraccio delle genti locali. I sorrisi si moltiplicano, le mani si protraggono verso di te, offrendoti le famose “palle bianche” dal sapore ignoto al mio palato (a mio avviso immangiabili). Gli occhi dei locali sono attratti dai tuoi tratti somatici e ci si accorge da subito che la musica è già cambiata rispetto alla capitale. Sono penetrato in una zona dell’Uzbekistan non proprio frequentata dalle tristi carovane di turisti, già osservate in alcune zone di Tashkent. E’ piacevole notare l’atteggiamento degli abitanti della valle nei tuoi confronti. Lo straniero qua è ancora visto come centinaia di anni fa, un esploratore in cerca dei migliori tesori: i popoli, i sapori, gli sguardi, le migliori mercanzie del mondo.
La macchina prosegue ad alta velocità tra gli splendidi altopıanı della valle del Fergana; i miei occhi sono orami rapiti da un quadretto rıcco dı colorı che esplodono e sı dıffondono nell’ımmensıtà delle cıme dı montagna che si allontanano dalla mia vista, dividendo la valle dall’Uzbekistan occidentale.
Arrivo ad Andijon a serata inoltrata, quando ormai il passaggio di confine tra Uzbekistan e Kyrgyzstan è stato chiuso. Decido di pernottare nella desolante città di frontiera, camminando tra i suoi viali ricostruiti dopo anni di scontri e violenze. La città profuma di distruzione e nella zona dove riesco a trovare soggiorno presso un modesto albergo, la riedificazione delle strutture è stata condotta seguendo canoni occidentali. Mi domando ancora se molta della devastazione che mi circonda sia dovuta ai pesantissimi scontri tra governo centrale e popolazione locale degli anni precedenti o se ciò che vedo è dovuto ad uno dei tanti terremoti che hanno colpito la zona martoriata. Ad ogni modo, guardandomi attorno, mi accorgo che questi territori non hanno mai avuto lunghi momenti di tranquillità e nel silenzio inquietante di alcuni vicoli circostanti l’albergo, mi assopisco pensando alle sorprese che il giorno seguente mi avrebbe riservato, attraversando un confine dal passato e dal presente sanguinosi.
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