Beati i poveri di spirito
Esistono le tecniche di seduzione? O sono solo l’illusione tecnicistica del maschio che ritiene di avere un potere mentre sono solo la sorte e le condizioni psicologiche dell’altra parte a determinare gli eventi? Il possedere una tecnè è come dominare un’arte segreta, almeno così ci si illude: per gli uomini è come descrivere l’unico vero infallibile metodo per farsi la barba, gli altri sono solo pallidi e inefficaci sistemi. Ma la tecnè era sì la capacità di forgiare in primis i metalli, ma anche l’astuzia, l’inganno, l’arte di Odisseo.
Medita così, in contemplazione di se stesso, Guido Aloisi, convinto di essere forgiatore astuto, somma ideale delle due interpretazioni. Scapolo a trentacinque anni, di bell’aspetto, fisico atletico lievemente appesantito, più azzimato che elegante, avvocato di moderato successo, anche perché di famiglia benestante e quindi più attento alla vita bella che a riparare torti.
Sa sciare, fare il wind surf, guidare sportivo, giocare a tennis: sarebbe anche un cacciatore se questa pratica non imponesse improponibili levate all’albeggiare.
La sua conversazione, brillante nei modi ma debole e ripetitiva nei contenuti, è soprattutto gravata dall’eccesso del pronome io. Ma, sia lode al Signore, non tutte le fanciulle aspirano a un rapporto interiore profondo e quindi il bell’aspetto, una certa disponibilità e un po’ di maniere fanno un uomo perfetto, o quasi. Di questo, Guido è convinto. E si muove di conseguenza.
Punta ragazze possibilmente bellissime alle quali non manchi nulla di anatomicamente ineccepibile, dove tutto è coerentemente al proprio posto a dispetto anche delle leggi della gravità. Una concessione ammessa è l’assenza di luce negli occhi, anzi il più delle volte è auspicata: segno evidente di poche sinapsi e mal collegate. Una saltuaria debolezza maschile che in Guido assurge a ideologia.
Un particolare. La contemplazione di sé avviene a un tavolo di un bel ristorante di pesce. Di fronte a Guido siede una donna, forse coetanea. Ha i capelli raccolti dietro con eleganza, offrendo così al viso l’opportunità di farsi notare per intero, scelta vantaggiosissima. Indossa il cosiddetto tubino, malva cupo, che segna un busto moderatamente fastoso, ma si ferma piuttosto presto, così fanno mostra di sé due gambe perfette e lunghe che si concludono con due ballerine nere. Unico bijoux un largo bracciale di bachelite, forse francese anni Sessanta, in tinta con l’abito.
La lunga pausa sta per concludersi. Guido apre la bocca ma lei lo ferma: Ti prego, non dirlo; Dire cosa?; Che sono bella…; Ma come…?; E’ l’argomento di chi non ha argomenti. E anche un furto…; Un furto? Ma che diavolo…; Vedi – prosegue lei paziente – la bellezza è un dono, una fortuna magari immeritata, ma è mia. Quindi io la posso usare, per sedurre, convincere, ingannare, emergere, affermarmi o anche per perdermi. Ma non puoi farlo tu. Tu non puoi usare, passami l’espressione, i miei beni per fare colpo su di me, devi usare i tuoi. Se usi i miei vuol dire che non hai i tuoi, diciamo che non hai patrimonio, sei povero. E i poveri di spirito piacciono al Signore, ma non a me. Si alza e si allontana, mentre gli sguardi degli altri uomini la seguono, da capo a piedi.
Guido è senza parole, esterrefatto. Non capisce. Eppure – mormora mentre cerca di farsi notare dal cameriere – con quel fisico, chi l’avrebbe detto…