L’insardevole volo
Gli impegni lombardi della mia insardevole persona erano oramai giunti al capolinea. Col cuore diviso tra la partenza e la permanenza organizzai la bussola verso il lontano Sud. Dovevo rientrare? Sarei rientrata.
Non avevo però fatto i conti con un evento, dal sapore anche un po’ nostalgico, che vedeva solo il mio di cuore diviso tra l’andare e il restare. Infatti il cuore di quei romanticoni di Raianeir era completamente orientato a trattenermi lì, in dinamica stasi, sospesa in quell’impercettibile spazio che, alla stregua della cruna di un ago, segna il confine tra il sidereo spazio, crogiuolo di sogni e avventure, e l’incandescente terra, benevola madre del mistero della vita.
E, devo dire, romanticona pure io…!
Il primo subdolo tentativo di trattenermi fu al peso della valigia. Il massimo consentito era 10 chili. La mia pesava 10 chili e 80 grammi.
“La solita terrona che vuol fare la furba” mi dissi da sola.
Ma loro no. Loro con l’eleganza inglish che li contraddistingue non mi insultarono affatto, anzi manifestarono subito la voglia ch’io restassi, forse perché anche loro, come i calabresi, sono molto ospitali. E quindi mi dissero in modo laconico e deciso (immagino per ragioni di professionalità): “Mi spiace ma così non parte!“.
Io quasi commossa dalla mal celata volontà di tenermi con loro, replicai con fare struggente:
“Mi dispiace devo andare, il mio posto è là!”
“La indovino con una” – mi disse la sorridente fanciulla in divisa – “ma nonostante tutto non posso lasciarla andare!”
Lì capii che il corteggiamento aveva avuto inizio.
Ma io non mischio mai sentimenti e lavoro. Dovevo partire.
Con occhio sempre più innamorato, l’ancella delle nuvole quasi mi intimò: “deve portare il peso della valigia a 10 chili“.
“Altrimenti l’aereo non ce la fa?” Risposi io ironizzando. “Se ognuno portasse quanto vuole probabilmente l’aereo non ce la farebbe davvero” mi rispose a sua volta ostentando l’umorismo conseguito alle scuole serali organizzate dagli autori di “un giorno in pretura“.
Giusto, come darle torto? Allora con un elevato senso civico e di rispetto per le regole, aprii la valigia e, sotto gli occhi indagatori della ninfa dei cieli, levai il portafogli e l’orologio che misi rispettivamente in tasca e al polso. Il mio bagaglio arrivò ai regolamentari dieci chili. Ma inevitabilmente io iniziai a pesare di più. Sarei dunque stata la causa di incidenti mortali per sbilanciamento dovuto ad una mia imperdonabile imprecisione? Lo comunicai, con pungente ironia, alla paladina dei vuoti d’aria che si stava occupando delle mie sostanze, ma evidentemente quella c’era stata per davvero in pretura, un giorno, ma per ben altri motivi; quindi con occhio di disprezzo, dal quale ancora meglio si evinceva il desiderio di trattenermi (era già diventato un rapporto odio-amore), mi indicò uno strano strumento dentro il quale, mi disse, doveva stare la mia valigia. Dal peso alle dimensioni dunque. E lì mi trattenni su tutte le battute che ne sarebbero venute. In fondo sono una signora.
Dal peso alle dimensioni dunque. E lì mi trattenni su tutte le battute che ne sarebbero venute. In fondo sono una signora.
“Bene” – pensai vedendo quel ridottissimo spazio – “è più facile che un cammello passi per cruna di cui sopra, che la Insardà viaggi pe’ ‘l regno dei cieli“.
Eludendo quel pessimistico pensiero, tentai invano di introdurre la valigia dal lato delle ruote. La fanciulla pioniera delle turbolenze mi guardò e disse con un sorriso dal silente enigma: “Mi spiace ma così non parte!“.
Il degiavù fu tale che la risposta venne da sé senza nessuna mia applicazione cerebrale: “Mi dispiace devo andare, il mio posto è là“. Allora con slancio e intraprendenza presi la valigia, la capovolsi e la inserii, dal lato della maniglia, nell’angusto spazio misuratore. Ed ecco che anche le dimensioni diventarono un problema superato, come direbbe qualsiasi sessuologo dell’epoca moderna.
Ottimo! Finalmente era fatta. Potevo partire. Salutai con reverenza l’oramai spezzato cuore dell’amazzone delle perturbazioni e mi avviai.
“È giunto il momento. Adesso mi imbarco“, pensai…
Ma ancora una volta non avevo fatto i conti con dell’altro: l’aspetto umano dei controlli. La valigia era apposto, ma io?
Zona metal detector. Io al di qua, la poliziotta al di là. Mi guardò. Mi fece segno di passare. Passai. Suonò. Mi riguardò.
“Ripassa per favore?” Mi chiese con gentilezza.
“Guardi non lo so se posso, ma se torno da queste parti le faccio sapere“.
“No” – mi disse lei – “le chiedevo se cortesemente può ripassare sotto il metal detector. Ma prima tolga la cintura“.
La tolsi. Passai. Suonò.
“Tolga anche le scarpe”
Le tolsi. Passai. Suonò.
“Tolga anche collana e anelli”
Li tolsi. Passai. Suonò.
E quando rimasi con pochissimi e succinti abiti a proteggere il mio pudore, la poliziotta striptis mi guardò con occhio feticista e mi disse:
“Devo perquisirla“.
E cominciò a mettermi le mani ovunque. Ma ovunque ovunque eh! Ma proprio dappertutto. Ed ecco che già iniziava a mancarmi la fanciulla sentinella del portabagagli di prima, che almeno mi voleva trattenere con romanticismo e poesia.
Quando dopo più o meno nove settimane e mezzo la ninfomane finì di sfogare tutte le sue brame, mi chiese di passare ancora sotto lo strumento che continuava a suonare a ripetizione il suo martellante e fastidioso bip che manco Elio, le storie tese e la canzone mononòta.
Al che la lussuriosa tutrice dell’ordine, affatto dispiaciuta, mi comunicò:
“Mi spiace ma così non parte!”
Il solito degiavù controllato dall’inconscio, ebbe il sopravvento e mi vinse: “mi dispiace devo andare, il mio posto è là“.
Devo dire però che una donna il cui mestiere è il pericolo non poteva certo rimanere impressionata dalla mia conoscenza della musica italiana. O forse i Pooh non era il suo gruppo preferito. Dovevo provare con l’echip 84.
Ma prima che potessi iniziare con qualche altra citazione musicale, guardandomi di sottecchi e quasi speranzosa e lasciva mi chiese:
“Forse ha dei pirsing? Forse in qualche posto segreto?“.
(In qualche posto segreto? Oh mio Dio!)
“Ebbene sì! Ho un pirsing che conservo in cassaforte”
“No, intendo se ce l’ha in qualche posto segreto addosso”
Dunque ragioniamo: se dico di no mi dice che è meglio controllare. Se dico di sì mi dice di farglielo vedere.
Necessita strategia.
“Mi scusi ma qual è il problema? Mi ha perquisito, ha visto che non porto armi…”
“Se il metal detector suona vuol dire che lei trasporta ferro. E finché non lo troviamo non può passare”
“Ma certo che trasporto ferro, solo che lei non lo può vedere”
“Quindi ha un pirsing?”
“No ho la sideremia alta”
“E che vuol dire?”
“Che devo tenere sotto controllo trigliceridi e transaminasi”
“No, voglio dire che c’entra col metal detector. Pensa di averne talmente tanto che viene rilevato?”
“Non solo!” – dico io – “Pensi che con tutto ‘sto ferro addosso non posso nemmeno giocare con le calamite. Però faccio da zavorra alla mongolfiera di mio fratello e sono il principale fornitore delle industrie siderurgiche”
“Ah, bene! Allora può passare“, mi disse sorridente e con l’orgoglio di aver salvato da possibili dirottatori il nostro territorio.
Finalmente. Tutto è bene quel che finisce bene. Adesso sono molto più tranquilla anche perché il dubbio si è fatto certezza: il terrorismo aereo ha le ore contate ché le armi di distruzione di massa sono a terra e lavorano al cecchin!