Cristicchi canta la storia degli esuli d’Istria
Si direbbe che una della maggiori cause di tutti i mali del genere umano sia la memoria corta. Che poi, chissà, forse l’abbiamo proprio iscritta nel dna, ed è invece la lungimiranza, il veder lontano guardando al passato, a essere contronatura.
E’ che il dolore si dimentica assai facilmente, annichilito in breve tempo dalle istanze della vita che si ripropone di continuo. Che sia un bene o un male non è facile a dirsi. Facile è invece constatare come la storia presenti dei cicli che tendono a ripetersi, ciechi del fatto d’esser già stati sotto al cielo, medesimi nei fatti, medesimi negli interessi, solo con protagonisti diversi.
Così basta un periodo di pace di cinquant’anni per considerare la guerra un fatto del passato, e se la pace ne dura invece cento, la guerra non è mai esistita. E all’espansione segue la crisi, la contrazione dei consumi, il protezionismo, il malessere generale, la ricerca dei responsabili, il mors tua vita mea, il tornate a casa vostra, lo scontro sociale, la deriva autoritaria. E infine la guerra, ancora. Quando basterebbe leggere un libro di storia.
non dare un nome ai responsabili con la scusa d’esser tutti uguali significa uccidere una seconda volta quegl’innocenti. Perché il perdono senza memoria si chiama oblìo.
I bambini, si sa, in guerra muoiono sempre. Di fame, di freddo e di stenti. E il sangue degli innocenti ha un unico colore, non ha divisa, non conosce bandiera. Ma l’essere tutti uomini non ci riunisce automaticamente sotto lo stesso tetto se non nel giorno in cui veniamo alla luce. Le scelte della vita hanno il loro peso, e se davanti alla morte in fondo siamo tutti uguali, davanti alla legge – umana, morale e infine divina – quelle scelte conteranno, e serviranno a separare i buoni dai cattivi, perché il sangue degli innocenti non può esser venduto a nessun prezzo, un prezzo deve averlo, e sulla coscienza di qualcuno pesare. Non dare un nome ai responsabili, con la scusa d’esser tutti uguali, due braccia, due gambe e cinque dita per mano, significa infatti uccidere una seconda volta quegl’innocenti, privando la storia della verità e il perdono delle sue premesse. Levate al perdono la memoria, ed otterrete l’oblìo.
Cristicchi mette in scena più la microstoria di contadini, operai e falegnami, i dolori degli esuli e le sofferenze di chi è rimasto, che la macrostoria dei generali titini e dei trattati internazionali, accostandoli certo con fatica, ma pur sempre con impegno civile, in uno spettacolo i cui contrasti devono essere intesi come invito all’approfondimento di una storia dimenticata, senza intenti pienamente divulgativi, piuttosto che come proposta di interpretazione dei fatti narrati, troppo complessi nella loro portata per avere siffatte ambizioni tra le mura di un teatro.
Gustosissimo peraltro il pretesto narrativo che vede l’artista impegnato nel ruolo di un freddo burocrate, impiegato dell’Archivio di Stato, con tratti burini e piglio strafottente, che è chiamato ad adempiere all’ingrato compito di mettere ordine tra le cianfrusaglie degli esuli, messe in deposito al Magazzino 18 del porto di Trieste.
Scoprendo, sedia dopo sedia, giocattolo dopo giocattolo, documento dopo documento, che quegli oggetti non sono solo oggetti, ma bagagli. Bagagli di vite, d’uomini e di donne, di vecchi e di bambini, che custodiscono in segreto una memoria pesante e, per merito di regia, almeno in parte meno dimenticata.
Magazzino 18
di e con Simone Cristicchi
Napoli, Teatro Bellini dal 21 al 26 ottobre 2014
Info qui.