L’Orto botanico di Padova, un piccolo diamante grezzo
Padova, 21 ottobre 2013.
Dribblo la giornata uggiosa che mi costringe in casa e, approfittando di una manciata di ore di clemenza del meteo, inforco la bici per andare a fare un giro all’orto botanico, il più antico orto botanico universitario del mondo. Sono studente: entro senza pagare nulla e, a due passi dalla Basilica del “Santo” (così come è chiamato a Padova Sant’Antonio), mi immergo nel verde che non ti immagini nemmeno in pieno centro città. Fondato nel 1545, quando vi era ancora la Repubblica Veneta, l’orto contiene migliaia di piante diverse. Un inno alla biodiversità che, da maggio 2014, allargherà il suo canto grazie all’apertura di un nuovo spazio, chiamato il Giardino della Biodiversità, di ben 15.000 metri quadrati di superficie.
“In un’epoca in cui emergenze ecologiche e modelli di sviluppo non sostenibili stanno minacciando la ricchezza e la varietà delle specie animali e vegetali” recita il sito “il nuovo Orto diventerà così il manifesto di un diverso concetto di modernità e crescita economica, rispettoso dell’ambiente nelle sue molteplici manifestazioni”. Un diverso concetto di modernità e di crescita economica. In effetti sarebbe anche meno stressante una crescita del genere, più o meno lenta di quella di certe piante che escogitano qualsiasi espediente pur di sopravvivere. Basti pensare a quelle insettivore che con colori vivi e lucentezze varie attraggono a loro i piccoli animaletti e, in silenzio, li uccidono, consumandoli e digerendoli lentamente. Si sopravvive.
Esco dalla serra delle piante insettivore e mi imbatto in una professoressa che sta segnando su un block notes nomi di piante e chissà quali caratteristiche: “L’Orto è poco utilizzato dagli studenti. Anche quelli di Scienze Naturali ci vengono poco, anche solo una volta nel corso del ciclo di studi” mi dice un poco assorta “Con il Giardino della Biodiversità speriamo che il tutto sia più attraente, sia per gli studenti che per i turisti”. In effetti, non passare per l’Orto una volta che si passa per Padova è un peccato perché si ritrova una moltitudine immensa di piante del mondo, da esemplari della macchia mediterranea a piante velenosissime, passando per la Palma di Goethe detta così perché il letterato le dedicò questi versi:
le foglie che sorgevano dal suolo erano semplici e fatte a lancia; poi andavano dividendosi sempre più, finché apparivano spartite come le dita di una mano spiegata”.
Continuo a ciondolare per le viuzze di ghiaia e terra. Tutt’intorno colori e fiori e colori ancora che sembrano fregarsene del grigio e dell’autunno che sta avvinghiandoci. Tutto questo verde mi fa riflettere. Ho inseguito un’ape. Anzi: l’ho seguita, che fa differenza. Era stanca, andava a prendere l’ultima riserva da un fiore. Sembrava mi aspettasse, come sapesse che volevo fotografarla. E via, come se fosse una banalità, l’ho messa in posa e l’ho ringraziata. Anche in città si può venire risucchiati dalla natura.
Le foto della galleria qui sotto sono di Elena Carraro.