Carne di mare
La sensazione era di onnipotenza. Che tutto quanto il mondo fosse mio in quel momento, e le cose del mondo state fatte solo per me. Alzai gli occhi al cielo. La luce intensa del sole mi abbacinava, riflessa dal basso delle piccole onde che increspavano l’acqua. Udivo volare i gabbiani sulle nostre teste, ed ero convinto che il vento violento che mi pizzicava schiena e fianchi provenisse direttamente dal battere delle loro ali.
Il turgore dei suoi seni, fuoriusciti a metà da un costume scomparso mi spingeva contro il petto.
Il turgore dei suoi seni, fuoriusciti a metà da un costume scomparso mi spingeva contro il petto. Un bacio assetato, nella danza delle lingue, accompagnava tutto; un lungo e infinito bacio, dato e ricevuto per stuzzicare l’appetito della carne, che sotto il pelo dell’acqua intanto cedeva al ritmo delle cose della natura.
La foga d’unirmi a lei divenne presto prevalente sulle altre necessità che lo stare in acqua impone, sulla ricerca d’un appoggio stabile, sul pudore che dal di fuori non s’intenda il ballo dei due amanti.
Ad ogni centimetro di carne guadagnato lei aderiva a me ancor di più, in una morsa mai più risperimentata
Quarant’anni in due, ci baciammo sotto il Sole implacabile d’una Sicilia che stavamo scoprendo.