Vieni al Mount Holyoke College, Lisa Simpson
Fine pubblicità.
Un messaggio ci avverte che il nostro programma, o cine-racconto, preferito sta per cominciare. Voce esterna: “nelle precedenti puntate di C’erO una volta in America”, mentre scorrono le immagini dell’arrivo a Boston, le cicale e i picchi del Massachusetts, il flash-back in Nevada e la scampata perdita del volo. Ultima scena: Lora attonita davanti ai cancelli del College. Sigla. Ramble on…pa pa pa, pa pa pap pa… sempre per gentil concessione di grandi artisti internazionali. Finisce la sigla, comincia il secondo episodio.
Si apre con l’ arrivo nella vallata ai piedi del Monte Holyoke, che dà il nome al college dove Lora passerà nove mesi. Esatto, come una gravidanza, e il parto finale prevede un fantastico Certificato in Psicologia che si scoprirà poi non essere nemmeno riconosciuto in madre patria. Nessuna validità. Crediti universitari, ore di lezione, esami e ricerche, giorni passati in biblioteche che profumano di libri antichi, per poi sentirti dire: no, se l’Istituto non fa parte della Comunità Europea non possiamo farti valere i crediti, é una carta inutile se ottenuta negli USA. Grazie Ministero dell’Istruzione: è sempre (mai) un piacere fare affari con voi.
Lora entra in uno dei tanti edifici che compongono questa struttura strana e non familiare, per una persona che ha seguito i corsi universitari camminando avanti ed indietro per le calli veneziane. A Mount Holyoke College sembra di essere arrivati in un set cinematografico allestito solo ed esclusivamente per le migliaia di ragazze che lo avrebbero frequentato. Migliaia di ragazze, non avete capito male. Tutte ragazze. Il MHC è stato il primo del gruppo dei Seven Sisters Colleges, letteralmente i college delle Sette Sorelle, e fa parte di un consorzio di altri cinque istituti della Pioneer Valley, collegati tra loro tramite un sistema di autobus dedicati agli studenti: i PVTA. Lora, tutte queste informazioni le apprenderà un po’ per volta. Per ora, mentre come sottofondo musicale suona “it just takes some time, little girl you’re in the middle of the ride, everything everything will be al right” lei sa solo che la sensazione che la pervade da minuti che sembrano ore è: smarrimento.
Cambio di scena. Dopo aver ritirato chiave e tessere varie al centro accoglienza e orientamento, è ora di entrare nella Buckland 217. Tun tun tun tun cha cha cha, taratta ta taan tan, scena a rallentatore con tipica canzoncina da atleta che sta per strappare con il corpo proteso in avanti la fascia dell’arrivo dopo un’estenuante corsa. Si apre la porta. Suono di disco che si inceppa. Scraaatch. Un cubo vuoto con un letto di legno degli anni ’20, un armadio a muro con toeletta anni ’30, scrivania e sedia anni ’40 e mini libreria ai piedi del letto. Silenzio. Il video viene velocizzato con musica alla Benny Hill Show e Lora, dopo una riflessione rapida e lasciate le valigie accanto al letto, si mette all’opera. Svuota tutto e cerca di pulire il possibile, da Cip, o forse da Ciop, estrae due parei colorati, qualche velina e rinnova il look di quella che diventerà la sua tana. Al termine dello sketch con velocità aumentata, quello che prima era un cubo senza vita, è diventato un angolo di mondo, pittoresco e iper-colorato. Grazie lenzuola multi colorate dell’IKEA che avete dato del vostro.
Come tradizione richiede, le porte delle camere dei dormitori prevedono la presenza di pannelli di sughero a cui appendere messaggi, foto e quant’altro. Mi premuro di abbellire la mia (si, dai, lo ammetto: Lora sono io, parlo in prima persona che è meglio) subito con qualche testo di canzone che rispecchi la mia personalità, il mio nome è già stato appeso da chi ha gestito la pianificazione degli alloggi studenteschi, e prima di rientrare, faccio un giro di perlustrazione del corridoio per leggere i nomi delle mie vicine. Emily, Liz, Brooke, Zaidat e altri che per ora sono solo nomi. Presto saranno anche volti. La Residence Hall è ancora vuota. Le nuove arrivate sono attese una settimana prima per il periodo di orientamento, io sono giunta con un giorno di anticipo. Ti pareva se non dovessi essere la solita sfigata. Amen.
Immaginiamoci un breve excursus di scatti fotografici, e il nostro cine-racconto si avvicina alla conclusione anche per questa puntata. La scena fa vedere come, con il passare del tempo, la stanza vuota abbia preso vita riempiendosi di un po’ di tutto: libri, ovviamente, progetti artistici, tazze di caffè, cioccolata, tappeti, poster di ogni tipo, disegni sul muro fatti con lo scotch, luci natalizie come da tipica tendenza studentesca americana, foto, citazioni, stampe, giardini zen, oggetti prestati o recuperati perché abbandonati da studentesse precedenti, come Chuma, (bacio, in lingua Hindi) l’orsetto bianco di peluche che avevano abbandonato sporco e triste in un angolo della sala lavanderia, e poi vestiti, confusione ma soprattutto, persone.
L’episodio lo facciamo terminare oggi con uno zoom sulla citazione appuntata sulla bacheca e con le note della canzone alla quale fa riferimento “Mmm, I’m telling you now, The greatest thing you ever can do now, is trade a smile with someone who’s blue now, It’s very easy just…” Fade out. Il suono scema e anche questo episodio è giunto alla fine, con la porta della Buck 217 che si chiude. Click.
Compare un messaggio di fine trasmissione su schermata nera: si veda un estratto della puntata dei Simpson stagione 14 episodio 12 per capire lo stereotipo della studentessa di MHC.
Grasse Risate. Guardatelo.