La nonna e il caffè
Io ho una nonna che tutti i lunedì fa risotto, il martedì minestra di verdure, fettuccine il mercoledì, giovedì gnocchi, pesce venerdì, sabato tortellini in brodo e domenica lasagne. Con qualche variazione sul tema, ragù di carne o al pesto, pomodoro o burro e salvia, ma sempre porzioni abbondanti e profumo di casa, morbido, gustoso, forse a volte un po’ troppo unto… ma è pur sempre la nonna.
E io so che quando scendo a mezzogiorno e alle sette di sera, puntuale come un orologio, lei arriva con la sua pentola fumante, con mio nonno che già ha apparecchiato – la tavola e sé stesso – come per un banchetto delle feste.
Mi propongo come ospite non prevista, una terza bocca aggiuntasi all’ultimo, con il piatto pronto in mano e la giacca ancora addosso. E lei finge ogni volta meraviglia, come se non fosse mia abitudine arrivare senza avvertire, come se quello sguardo affettuoso che si dà ai bambini dolcemente dispettosi, lei l’avesse cucito sul viso.
Conosco il calendario, sono sicura di quello che contiene la casseruola… ma non dei nuovi racconti che verranno proposti.
Perché se di contorno ai piatti il vino non cambia – è quello rosso e sincero di famiglia – ad aspettarmi c’è ogni volta un pettegolezzo nuovo, di persone di cui si perde il conto negli alberi genealogici, boschi di parentele del paese; o una gravidanza o una relazione, sia essa bisbigliata, ipotizzata, inaspettata, ricercata, accertata; un cambio di lavoro, o una perdita di lavoro.
Si mangiano le pietanze e si assimilano aneddoti e ricordi.
Probabilmente qualcuno potrebbe alzarsi e storcere il naso di fronte alla metodicità dei pasti, a quel desiderio e quella necessità di programmarsi la spesa, quello scadenzare gli acquisti per ricordarsi meglio lo scorrere dei giorni, e persino il nome stesso, dei giorni. Però a me riempie il cuore e lo stomaco il sol pensiero dell’avvicinarmi al posto di una tavola così ben conosciuta, il ricevere le posate comprate apposta per i nipoti, poter scegliere la mia parte di pasticcio ovviamente dopo che il nonno – cui spetta sempre la prima decisione e la prima porzione – abbia fatto altrettanto.
E alla fine di ogni pasto il caffè. Un momento che sigilla quell’informalità, quell’affetto, quelle attenzioni, quelle tradizioni.
Parlo proprio di questo, di quei piccoli gesti scontati e banalizzati, che però sbandieriamo come fulcro e orgoglio della nostra cultura, della nostra italianità, del nostro carattere. Vorrei offrire a tutti voi, di articolo in articolo, uno scorcio di vita semplice, ma goduta, apprezzata. Ve lo correggo pure, il caffè, perché talvolta bisogna aggiungere quel quid in più per assaporare meglio la quotidianità, corroborare corpo e ingranaggi della mente.
Come vuole la mia tradizione veneta, sopra alla tavola, in ultima, due bottiglie: un digestivo dolce per le signore, e un amaro amaro per gli uomini. Per digerire meglio piatti, informazioni e considerazioni talvolta forse pesanti o mandati già a bocconi grossi; per andarsene con la bocca comunque sgarbata e pulita; per non avere un pensiero che gravi troppo a lungo nella pancia o nella testa.
Lascio le porte della casa dei miei affetti aperte a chi voglia passare a prenderlo, quel caffè… o un rasentin di inizio settimana, un goccio di spirito per pulire non solo le pareti della tazza, ma anche per diluire la mappazza del weekend appena salutato; per scandire qualche momento speciale, per sottolineare anche noi l’alternarsi dei giorni con un appuntamento fisso.
Se il tempo me lo concederà troverete sempre anche dei pasticcini di accompagnamento: la cucina per me è e sarà sempre veicolo di emozioni e incentivo per gli incontri; perché si sa, a pancia piena si ragiona meglio, e un buon caffè non si nega a nessun amico o ospite, ma, anzi, come si dice da noi, dev’essere “bollente, sedente e par niente!”.
Quindi io preparo la moka; e voi sedetevi.