Сарајево (Sarajevo) mon amour, il mio viaggio nei Balcani – seconda parte
di Michela De Biasio
Leggi la prima parte del racconto qui
E’ l’ultimo giorno a Sarajevo. Ci alziamo la mattina un po’ tristi e per tirarci su il morale andiamo da Sarah, una delle migliori pasticcerie della città, a due passi dall’Hotel. Al ritorno salutiamo un’altra volta i proprietari, che ci abbracciano e ci salutano con calore: “Speriamo di rivedervi presto” ci dicono, in italiano.
Stefano inizia a cercare nelle tasche dei pantaloni le chiavi dell’auto, non le trova. Svuota ogni singola borsa, cerca ovunque, si guarda intorno e assume un’espressione preoccupata – ooops! -. Io lo sono ancora di più. Inizio a ricontrollare tutto, maledicendolo per la sua distrazione “te l’avevo chiesto anche prima di fare attenzione alle chiavi!” Dopo 10 minuti di ricerche affannose Stefano mi guarda con una faccia parecchio colpevole: “tasca della giacca…”. Io e la proprietaria ci guardiamo come solo due donne sanno fare, e lei mi dice comprensiva “cosa ci vuoi fare… è un uomo”. Stefano offeso. Quando gli riporto la frase mi risponde “femmine”.
Partiamo per Mostar, e io leggo paese per paese cosa dice la Lonley dei luoghi che stiamo attraversando. I paesaggi cambiano, troviamo un lago mozzafiato, ed è pieno di cartelli che indicano la presenza di animali lungo la strada; per quanto mi riguarda potrebbero benissimo non esserci dato che le mucche ci sono… e si notano parecchio. Arriviamo a Mostar. La temperatura è molto più alta che a Sarajevo. La guida un po’ ci aveva preparato a ciò che avremmo trovato, ma non è stata comunque sufficiente.
La gente della città ha lavorato tantissimo in questi anni per la sua ricostruzione, ma le macerie fuori dal perimetro cittadino sono ancora visibili e, centro storico a parte, il resto è tutto da ricostruire. La ressa dei turisti che affollano la zona del Ponte, perfettamente ricostruito, è numerosa, vociante e accaldata. Facciamo qualche scatto ma sentiamo che il clima è strano, diverso da Sarajevo. La gente è sempre molto gentile e disponibile, però si vede che il lavoro da fare qui è ancora tanto. Un ragazzo chiede sei soldi ai turisti per tuffarsi dal ponte: è un’usanza consolidata e i giapponesi sono sempre i primi a sganciare per poter fare la foto di rito, da mostrare poi all’altro capo del mondo.
Fa caldo, tanto caldo. Decidiamo di partire verso Dubrovnik, ma prima di lasciare la città vediamo una scena che mi mozza il respiro. Una bambina, all’incrocio di un semaforo, che avrà si e no sette anni, chiede la carità appoggiando le mani ai finestrini delle auto. Io chiedo a Stefano di tirare su il suo, ma lui lo fa troppo tardi, quando la bambina è ormai a un passo. Indifferenza. Mi sento una schifezza.
Inizia la strada verso la Croazia, pensavamo di metterci molto meno (stolti!), o quantomeno di trovare dei cartelli fermi ad indicare il confine, invece no: ad un certo punto ce lo troviamo davanti, ma dobbiamo finire i soldi prima di passare alle kune, così torniamo indietro a cercare un benzinaio dove riempire il serbatoio e per finire gli spicci compriamo dei biscotti bellissimi a forma di animali: ogni bestiola ha un nome – dice la confezione – e contiene delle vitamine diverse. Basta poco, e il divertimento è alle stelle. Poco dopo rientriamo in Bosnia per fare quel piccolo, sudato, pezzetto di costa del paese; i turisti italiani neanche li fermano, in quel pezzo: nessun timbro per noi sul passaporto.
Arriviamo tardi a Dubrovnik, non sappiamo dove dormire. Cerchiamo delle sistemazioni ma senza fortuna, così arriviamo all’unico campeggio di tutta la città, dove vanno tutti quelli che (farlocchi come noi) pensano di risparmiare. La prima brutta sorpresa della città: una piazzola ci costa a testa come la camera d’albergo in centro a Sarajevo. Ma preferiamo non pensarci, ci ammazziamo di cibo e ce ne stiamo a leggere sotto le stelle, emozionati, pensando alla mattina dopo.
Al campeggio costa tutto carissimo, ci facciamo il caffè con la moka Bialetti (l’edizione speciale degli alpini) di Stefano, i vicini francesi mormorano e cantano la marsigliese guardandoci male.
Io e Stefano ci dividiamo quasi subito: spiaggia no stop per me, esplorazioni turistiche della città per Stefano. Ci ritroviamo in centro le sere per mangiare e cercare movida. La prima sera visitiamo anche il museo di Wade Goddard, ex fotografo di guerra che qui ha fondato la War Photo Limited, che ospita le opere di suoi colleghi reporter: le foto tolgono il respiro, quando usciamo siamo ancora scossi, e ci rendiamo conto di essere rimasti dentro per delle ore.
Mangiamo benissimo anche a Dubrovnik, beviamo. Le cose da fare non mancano, ma quanto è cara questa città! Dopo alcuni giorni decidiamo di partire: i soldi stanno finendo. La mattina del penultimo giorno Stefano rischia la vita proponendo una gita in Montenegro. Io insorgo: “come? La suggerisco come meta per giorni e la snobbi e poi vuoi scendere ancora più giù proprio prima di affrontare il viaggio di ritorno?”. Mi rifiuto di andare e mi trincero dietro strati di crema solare. Stefano, che è sportivo, si gira una sigaretta, ingrana la prima e parte. Torna verso sera con dei souvenir e due inglesi, Jessica e Luke, autostoppisti temerari che hanno fatto più o meno il nostro il giro, solo molto più spartano. Decido che voglio molto bene a Stefano per i comfort che mi concede e carichiamo Martina per il viaggio di ritorno.
Sapete quando vedete quei poveri turisti in auto sotto il sole imbottigliati in chilometri di fila? Quelli eravamo noi, per il traffico bestiale che abbiamo iniziato a trovare nei dintorni di Spalato. Decidiamo di osare; perciò imbracciamo la cartina e prendiamo le strade alternative. Non so se abbiamo fatto bene, ma almeno, anche se in mezzo alle pecore e ad altre sperdutissime montagne, abbiamo evitato considerevoli pezzi di fila, e verso il tramonto siamo arrivati nei dintorni di Rijeka.
Ultima cena fuori, decidiamo di evitare di addentrarci a Fiume, e scendiamo verso il piccolo villaggio di pescatori di Kravice, dove la figlia del proprietario ci serve con solerzia ma dimenticando ogni volta qualcosa. E qui, per la prima volta in tutto il viaggio, accade un fatto incredibile: la mia porzione di calamari è enorme e basterebbe per due, ma quella di Raznici di Stefano è microscopica. Non era mai successo in tutta la vacanza. Solo mastodontiche porzioni infinite di cibi squisiti, odorosi di spezie, e spesso pieni di carne. Stefano allora ordina una Palacinka, ma la cameriera si sbaglia e dopo un tempo infinito ne porta due. No problem: Stefano è una certezza: metodico spazzola via tutto.
Si riparte verso l’Italia. Una volta arrivati a Trieste ci prende già la malinconia. Scarichiamo le mie valigie sotto casa a tarda notte, con poca voglia di parlare. Solo un forte abbraccio che contiene tutto. “Viaggiamo bene insieme io e te Princess vero?”
Si, viaggiamo bene io e te, fra le montagne dei Balkani, all’avventura e fra un po’ di cappelle ma soprattutto fra tante sorprese.
Ho salutato i Balcani sapendo che ci tornerò presto, perché non sono mai riuscita a starci lontana, e perché è bello avere nelle mente i sorrisi e le persone che ho incontrato, ma sarà ancora più bello averli ancora vicino, un’altra volta ancora, almeno.