Quarto Potere (1941)
Immaginatevi un magnate della stampa. Un uomo ricco, famoso e soprattutto potente. Con i baffi e lo sguardo deciso. Non so voi, ma io un uomo descritto così non lo prenderei proprio a simpatia. Eppure, cosa avrà spinto Jorge Luis Borges a descrivere Charles Foster Kane, protagonista di Quarto Potere (Citizen Kane) di Orson Welles, un <<un caos di apparenze>>?
La definizione di Borges è esemplare per descrivere uno di quei personaggi che davvero non si possono giudicare se non si è visto il film fino alla fine e con la dovuta sensibilità.
Ma cominciamo con ordine.
Siamo nel 1941, 19 anni prima degli altri B/N di cui vi ho parlato.
Primo lungometraggio di Orson Welles, interpretato e diretto dallo stesso a 25 anni, è considerato da alcuni come il miglior film americano di sempre. Non è un caso che il titolo della sceneggiatura inizialmente fosse “American”.
Ispirato alla vita dell’imprenditore William Randolph Hearst, cosa che procurò non pochi disagi al film, Quarto Potere racconta la vita di Charles Foster Kane, partendo dal momento della sua morte, proseguendo con la sua rapida ed impetuosa ascesa, fino alla sua improvvisa caduta.
E’ interessante e ricca la molteplicità dei punti di vista con la quale la storia viene narrata. Il cinegiornale iniziale e le testimonianze dei vari personaggi che lo hanno conosciuto presentano un uomo che è un puzzle incompleto, il perfetto esempio di una dualità misteriosa.
Tutte le testimonianze sono giustificate dalle indagini per risolvere l’enigma celato dietro l’ultima parola pronunciata da Kane: “Rosebud”. Bocciolo di rosa. Una donna? Un codice? Un segreto?
Quali sono le ultime parole che un uomo del calibro di Charles Foster Kane può pronunciare prima di morire?
Ora mi sento in dovere di infrangere una delle regole che seguo sempre fedelmente, ovvero quella di non rovinare il finale di un film, dicendovi che questo non comprometterà di una virgola il vostro piacere nel guardarlo, nell’ assaporarlo e soprattutto nel riflettere.
Perché al di là dell’incredibile e insindacabile raffinatezza della regia, quello che sciocca di più è proprio la soluzione dell’enigma, che viene svelata solo e soltanto allo spettatore, mentre rimane un mistero per gli altri personaggi del film.
Rosebud non è nient’altro che il nome dello slittino che Kane aveva da bambino. Lo slittino dal quale si era dovuto separare brutalmente dopo la fredda decisione della madre di affidarlo ad un banchiere per la sua istruzione.
Le ultime, o meglio l’ultima parola di un uomo estremamente ricco, potente (provate a contare le inquadrature con angolazione dal basso), solo, ma soprattutto morente è il nome dello slittino della sua infanzia.
E’ in questo punto che si fissa l’incapacità di giudicare un uomo. E’ nel finale che si racchiude quel pallino, quel punto interrogativo che è sempre presente nei grandi film. Quello che ti rimane in testa, quello che in qualche modo ti ha cambiato dentro e ti ha fatto riflettere un po’ di più.
Una riflessione che indica col dito teso e sfacciato l’infanzia, il successo, gli affetti, l’amore umano, il potere, la solitudine.
Vi avrò anche rovinato il finale ma credetemi, il piacere di guardare Quarto Potere è indubbio; inoltre vi porterà a rivivere un pizzico di atmosfera fiabesca. Noterete ad esempio la scioccante somiglianza tra la residenza di Charles Foster Kane e il castello della regina cattiva di Biancaneve.
Farete caso agli infiniti richiami alla letteratura: dal Grande Gatsby a Cuore di tenebra senza dimenticare Kubla Khan, citato anche nel cinegiornale iniziale.
Quarto Potere è un film-labirinto che oltre a racchiudere un’immagine spietata del mondo dei media e dell’ossessione del potere, suggerisce con misurata nostalgia l’importanza del calore umano, che quando viene a mancare viene sostituito da precari e inadeguati surrogati.