Mi rifiuto di chiamarlo doggy bag #2
Torniamo alla tematica doggy bag. Cercando un’immagine adatta all’articolo che ho scritto la scorsa volta, vado a finire in un blog anglofono che descrive le abitudini alimentari italiane. Ecco la versione con cui loro spiegano lo scarso uso del doggy bag in Italia: noi italiani siamo, secondo loro, quelli che fanno mille storie se la carbonara avanzata viene rimessa a scaldare e mangiata con un pezzo di vitello buttato sopra -anch’esso avanzato-, quelli che potrebbero urlare di terrore di fronte alla pizza fredda e che, per ovvie ragioni, non potranno mai riportare a casa quello che resta di una bella fiorentina. Insomma: la cucina italiana pare, a loro dire, la cucina degli sprechi quasi “per tradizione”. Quello stesso blog insinua anche dell’altro: che gli italiani differenzino fra “scarti” ed “avanzi”, reputando “scarti” quelli nel piatto una volta giunti a livello di sazietà e considerando quindi poco carino portarli via. Unica lode per il popolo della pastasciutta? Quello secondo cui gli italiani sanno regolarsi, sanno cosa scegliere fra antipasto primo secondo contorno e dolce prima di ordinare in maniera superiore rispetto all’appetito.
Passiamo dunque ai tre punti degli americani in termini di doggy bag. Perché il doggy bag è così gettonato in USA? Perché i ristoranti si ritrovano a dover servire porzioni abnormi per illudere la gente che sia valsa la pena spendere soldi per mangiare fuori, primo. Secondo: perché è ancora forte l’idea del self-made man, dell’hard work, i rimasugli della Depressione sono ancora dietro l’angolo, a loro dire. E quindi con qualsiasi avanzo val la pena fare panini o omelette. Ma sarà davvero così netta, questa differenza? A chi di voi, compatrioti italiani, non è mai capitato di dover fare polpette aggiungendo un uovo e del pangrattato agli avanzi della sera prima? Per non parlare dell’italianissima “frittata di maccheroni”. Insomma, questo punto è opinabile, il primo invece è condivisibilissimo. Il terzo, infine, azzarda un parallelo in ambito di “mentalità del riciclo” : riciclo di materiali come di cibo.
Come ponte fra queste due diverse maniere di vivere il vitale espediente del doggy bag, troviamo Michelle Obama. La quale, in visita a Roma, ha azzardato tempo fa la richiesta di un doggy bag. Urla di gioia da Coldiretti, che lamenta -giustamente!- lo spreco del 30% del cibo comprato senza che questo venga minimamente aperto e consumato anche in minima parte.
E se l’ha fatto la First Lady, ritengo che possiamo fare tutti un passo per ridurre lo spreco senza temere di perderci la faccia, no?
E se comunque mettiamo da parte questi timori di mancato bon ton e ci comportiamo tenendo a mente il bene del mondo -e del portafogli!- è anche meglio.