Sesso, autoabbronzante e crisantemi
Ci sono certi odori che assumono più significato degli oggetti da cui provengono. Come il sesso. Come l’autoabbronzante. Come i crisantemi. Che esempi idioti, starete pensando. Passi il sesso, ma non si poteva parlare di biscotti e di ciclamini? La risposta è no. Quella che vi sto per raccontare è la storia di fragranze che si amano e si odiano, che si vuole ma non si può dimenticare. E che per fortuna non smettono mai di esserci.
Era estate e, tranne che per i giornalisti di Studio Aperto, il caldo non era certo una stranezza. Lo era però non potersi sollazzare in piscina. P (che sta per protagonista di questa storia, voi potete chiamarla come vi pare) all’epoca aveva 16 anni e viveva in un paesotto non lontanissimo dalla città, ma abbastanza da doversi far accompagnare in auto o prendere il pullman per andarci. Niente piscine comunali a L (che, se avete un minimo di intuito, avrete capito sta per luogo dove viveva P).
P non si stava abbronzando quell’estate per i seguenti motivi: a L non c’erano piscine in cui prendere il sole e, se anche ci fossero state, probabilmente non avrebbe avuto voglia di andarci. Il che ci riconduce anche al secondo motivo, cioè che il padre di P era in ospedale e stava molto male, e ovviamente la madre di P non aveva tempo di scarrozzarla fino in città per andare in piscina. Inoltre, P stessa non moriva dall’entusiasmo di mettersi in costume. Perché il costume, come tutti gli oggetti, si porta appresso la sua storia, una storia che, nel caso di P, parla di vacanze, di vacanze in famiglia, di vacanze in famiglia quando il papà stava ancora bene, di periodi felici che in quel momento a dir poco infelice facevano solo venire il magone.
Ci voleva qualcosa che facesse sembrare, almeno addosso a P, quell’estate meno orribile di quanto in realtà non lo fosse. E non per nascondere qualcosa a qualcuno quanto, semplicemente, per scontare la negatività, almeno al 10%. Vi capita mai di pensare: oggi è una giornata pessima, ma almeno senti che buono il profumo che ho spruzzato sulla maglietta? A me sì e penso anche a P, che infatti era andata al supermercato vicino a casa – quei super-market-presa-in-giro, dove la metà delle cose non esistono nemmeno – e aveva trovato, magicamente, un autoabbronzante. Di quelli in crema, che spalmi et voilà.
Voilà. Appunto. Tempo due giorni e P aveva un colorito dorato. Tempo due giorni e avevano dovuto sgomberare i mobili del salotto per far posto alla bara del padre di P, che era morto. Tutta la casa era comprensibilmente piena di fiori, tra cui i crisantemi. Perché anche se P e sua madre i crisantemi li odiavano, quando succedono certe cose e la gente è carina e ti regala i fiori, non hai la forza di fare buon viso a cattivo gioco e di buttarli via o riciclarli. Non è mica come a Natale.
I crisantemi puzzavano. Davvero di brutto. E la crema autoabbronzante aveva un profumo così forte da dare fastidio, specie se accostato a quello dei crisantemi. Per di più in casa faceva freddo, perché quelli delle pompe funebri avevano ordinato alla mamma di P di tenere l’aria condizionata al massimo, per evitare che la salma del padre di P si decomponesse. Quindi immaginatevi la fregatura per P: non solo la puzza, non solo i brividi e il mal di gola per le basse temperature, non solo sapere che suo padre non ci sarebbe stato il giorno in cui si sarebbe laureata (se mai l’avesse fatto) e non l’avrebbe accompagnata all’altare (se mai si fosse sposata). Insomma: non solo tutto questo, ma anche l’inutilità di avere le gambe e le braccia abbronzate e sentirsi una big bubble arrostita, visto che per non congelare era proprio il caso di indossassare jeans e maglietta a maniche lunghe.
Da allora l’odore dei crisantemi e quello dell’autoabbronzante hanno un po’ lo stesso significato per P: una fregatura inaudita. Le ricordano il dolore provato quando un giorno, per sbaglio, la vita ti lancia una pallonata in faccia, mettendosi a ridere anziché chiedere scusa.
Ma voi vi starete ancora domandando che c’entra il sesso. Anzi, probabilmente avrete aperto questa pagina solo perché la prima parola nel titolo è sesso.
(in fondo anche io so essere furba)
Bene, per conto mio la storia potrebbe anche terminare qui e non mi sentirei troppo in colpa per avervi ingannati, visto che ciò mi avrebbe nel frattempo innalzato – e non di poco – l’indice di lettura SEO. Ma facciamo la persona onesta.
P era cresciuta e aveva iniziato a frequentare l’università. Uno dei tanti corsi opzionali, quelli con cui puoi infarcire il tuo curriculum e arrivare al numero di crediti formativi sufficiente per laurearti, era scrittura creativa. P ovviamente era decisissima a dare il meglio di sé. A scuola tutti le avevano sempre fatto i complimenti per le sue doti compositive. Per dirla fino in fondo, si sentiva un po’ la nuova Oriana Fallaci, di cui per giunta aveva la tendenza a trasportare in ogni scritto non solo il suo essere ma anche il suo vivere (e il suo vissuto).
Praticamente: P non se la cavava male con le parole, anche se era ancora un po’ troppo piena di sé. Aveva un po’ più di quella sicurezza sufficiente per proseguire uno stile personale, ma non abbastanza da renderla arrogante. E fu così, quindi, che non seppe ribattere al consiglio di un certo professore, arrivato secondo al Premio Strega che, davanti a uno dei suoi strazianti seppur dignitosi racconti intrisi di tragedia personale, le disse: <<Signorina, qui ci vuole del sesso. Ha mai pensato alla masturbazione in un cimitero? O a una scopata in “presenza” del morto?>>
Beh, P me l’ha raccontato come un affronto. Quel professore impudente e ninfomane, che tra l’altro al Premio Strega era arrivato secondo.
Ma P un po’ bigotta lo è. E’ andata a scuola dalle suore (a cui comunque va il merito di averla spronata nella scrittura).
Io invece penso che il professore avesse ragione: certe volte la vita e la morte vanno prese un po’ in giro, prima che siano loro a farlo. Vanno beffeggiate, come quando si scherza con un amico e poi si finisce col farci dell’ottimo sesso.