In cima a quella collina
Fortuna che non ho conseguito un dottorato in studi filosofico-esistenziali, né mi piace troppo farmi seghe mentali sui massimi sistemi, altrimenti questo articolo diventerebbe un trattato stoico-epicureo, o forse uno di quegli scritti che vogliono dire tutto e nulla. Probabilmente ne verrà fuori comunque qualcosa privo di senso, ma ormai siamo qui quindi tanto vale provarci.
Nessuno di voi si è mai svegliato la mattina con uno strano senso di inquietudine, con una tarma fastidiosa aggrovigliata intorno al cuore che rilascia nell’organismo eccitazione o paura senza nemmeno renderne nota la causa?
E’ un brivido che corre lungo la schiena, come una borsa d’acqua gelata che viene scagliata all’improvviso alla base del collo, e prende a gocciolare serpentina lungo le braccia e i fianchi. Di colpo abbiamo freddo, andiamo in ansia, ma non ci sono finestre aperte intorno a noi, e la giornata è lì fuori, tranquilla e soleggiata, piena di tante piccole cose che forse non hanno nemmeno importanza.
tutti noi cerchiamo di saltare sempre più in alto, di arrivare sulla cima della collina dove riteniamo dimori la felicità cui ambiamo
La verità è che tutti noi, come chi ci ha preceduto e chi verrà dopo, cerchiamo di saltare sempre più in alto, di arrivare sulla cima della collina dove riteniamo dimori la nostra occasione di salvezza, la felicità a cui tutti ambiamo. Per quanto i nostri sforzi tendano verso l’alto, c’è sempre la gravità a trattenerci giù, a frenarci sull’orlo del burrone, e allora diventiamo simili a palloncini gonfiati con l’elio, protesi verso l’alto ma legati ad un suolo che non ci consente di spiccare il volo e di partire.
Bene, la vita di chi bussa alle porte del divenire è così. L’esistenza di chi si cerca un posto nel mondo, o di chi si è stancato di cercarlo è così. Non dà certezze né illusioni, imprevedibile e precaria come il respiro affannoso di un vecchio che non sa se supererà il prossimo inverno. E allora, in questo rebus dalle tante regole e nessuna valida, ci aggiriamo in cerca di un aiuto, di un consiglio, di una mano amica che ci dica che esiste una possibilità, che forse la cima della collina non è poi così lontana.
Ma anche questa è un’illusione. Il mondo di oggi è troppo vario, complesso e stratificato per prestarsi alle semplificazioni della mente. Correnti, riflessi, voci umane che si divincolano e si bastonano a vicenda per una briciola di pane in più. E non esistono ricette per il successo, né manuali dove sono riportati tutti i passi da eseguire per far sì che la danza funzioni. Esistono maestri, sì; ci sono uomini esperti e autorevoli, ma sempre più spesso mi sorge il dubbio che anch’essi non abbiano in fondo capito nulla, e cerchino solo di darla a bere agli sciocchi perpetuando la loro immagine di guru, di eroi ribelli a cui i miti del nostro tempo hanno tanto abituato. I miti dicono tutto il contrario di tutto, così come le immagini, cariche di senso agli occhi di uno e sterili prediche agli occhi d’un altro. La realtà è che qui si credono tutti arrivati, pensano tutti di conoscere le risposte, ma la verità può esistere solo oltre la coltre azzurra del cielo, dove né io né voi avremo mai modo di sbirciare.
non c’è una via, un tracciato stabilito; esistono solo i percorsi e i passaggi attorno a cui girano per giungere a destinazione
L’era della comunicazione di massa doveva darci il modo di sentirci tutti più vicini, doveva fornire la possibilità di emergere a tutti, ma ha solo aumentato il traffico, il rumore. E’ difficile emergere ora che gli attori sono tanti, ora che il flusso di dati appesantisce i sistemi, e trasforma le pepite d’oro in altri sassi di fango nel disordine creato da tutti questi tentativi di ribalta, da tutti questi io che spingono e strepitano per farsi bagnare dalla luce dei riflettori.
E anche le distanze assumono nuovi significati, in un’epoca che ci ha abituati alla distanza, a sentire il calore di un corpo solo attraverso pareti virtuali, in parole di pixel ma non di carne. Mantenere i rapporti, creare nuovi legami, sentirsi vicini al centro della terra pur restando ai poli; forse il sogno è andato così oltre da trasformarsi in incubo.
E lì fuori è pieno di gente che ci dice come si dovrebbe vivere, come fare a guadagnarsi la pagnotta, come diventare belli, ricchi e famosi, come farsi amare dalla persona che non ci ama né lo farà mai spontaneamente. Ed è anche pieno di stelle che cadono, di nuovi soli che spuntano, di scenari futuri perduti, e di altri che magari non si realizzeranno mai.
Ma la verità è che io sono stanco. Stanco della saturazione di esperienze e fantasie, stanco dei consigli, dei libri e delle lezioni impacchettate e messe sotto l’albero di Natale giusto per darci noia pure in un momento di svago.
La verità è che è giusto ascoltare gli altri, ma solo finché la loro voce non oscura del tutto la nostra. La verità è che non esistono poesie in rima, come neanche regali o premi per il merito o l’impegno. La verità è che bisogna strappare via le opportunità e le vincite con i denti, sentirne il peso sulla propria schiena spellata dal sole. Sfidare il banco, giocare sporco pur rimanendo a viso scoperto e pulito. Bisogna credere, emozionare, piegare l’alba e il tramonto al nostro dovere. Bisogna amare, prendere a pugni il destino, restare in silenzio così da capire quello che davvero siamo in grado di fare, ciò che davvero conta più di tutto.
La verità è che la cima della collina è ancora lontana laggiù, ma non c’è giorno che passi senza che questa diventi più vicina. Al diavolo tutti i pomposi giudizi, le etiche da quattro soldi, i dogmi sopra cui sono state costruite carriere di vetro; lasciateci in pace a vincere la nostra gara.