Genova tra alluvione, fango e Angeli
In questi giorni provo a chiedermi come possa sentirsi un genovese dopo l’ennesima alluvione. Ho rivisto i video, riascoltato la telefonata al 118 in cui una donna chiede disperatamente aiuto per delle persone in strada, ma l’operatore le risponde che non c’è modo di raggiungerli, neanche in elicottero, perché piove troppo.
https://www.youtube.com/watch?v=Ixvmo7n_JMY
Vivo in un luogo in cui vedere riproporsi sempre gli stessi problemi, vedere per l’ennesima volta il giornale titolare <<Tragedia>>, è una cosa normale (se così si può dire). Eppure, immedesimandomi in quella situazione, mettendomi nei panni di una qualunque di quelle persone che potevano trovarsi in strada, in metro o passeggiando sul lungo mare, mi vengono i brividi. Cosa voglia dire vedersi fottere il futuro poco per volta lo sa bene chi vive in un Paese martoriato da decenni di mala politica; vederlo sparire davanti ai propri occhi, però, vederlo annegare trascinato da una corrente di fango, automobili e lacrime, il tutto in pochissimi attimi, è un dolore che solo chi quel futuro l’ha perso può comprendere.
Eppure quel dolore i genovesi l’hanno affrontato più di una volta. Più di una volta si sono rimboccati le maniche per spalare il fango, per rimettere insieme sé stessi e la loro città. Ed è quello che stanno facendo anche adesso.
Intanto, però, gli opinionisti dei social network non perdono occasione per scannarsi tra loro, come del resto ad ogni avvenimento che abbia un minimo di attenzione mediatica. Con i loro discorsi creano un ignobile rumore di fondo che copre il discorso di base. Spesso ho l’impressione che per molte persone tutto ciò che importi di un accadimento è come questo possa tornare utile per difendere le proprie convinzioni sul mondo e attaccare quelle di qualcun altro. Del resto chissenefrega se quando ci hanno dato la tessera elettorale pensavamo fosse una scheda dei punti della Coop. Che importa sapere di chi sono le colpe e le responsabilità del dissesto idro-geologico nel nostro Paese. No, quello che importa è sapere se l’immigrato stia spalando o meno.
Non faccio che pensarci, ho come due scene separate nella mia testa. Da una parte il chiasso, il rumore dei discorsi inutili, le solite parole di circostanza dei politici – se non lo fossero oggi non staremmo parlando di questo–, lo scaricabarile tra quelli che c’erano prima e quelli che ci sono ora. Dall’altra il suono della pioggia, il fragore della terra, stanca, che cede. Il rumore metallico delle pale, le menti esauste come i corpi e un pianto, forse di un uomo che muore, o di una bambina che nasce perché, alluvione o no, è giunto il suo momento di venire al mondo. Due scene separate dalla bassezza umana, da una montagna di fango che non è fatto di terra e acqua ma di sangue e ossa. Due scene e in mezzo una città e un popolo che meriterebbero, tra le cose, più rispetto, ma soprattutto il diritto, per ognuna di quelle persone, di non dover temere per sé stessi o per i propri cari ogni volta che piove più forte.
Solidarietà ai genovesi, figli di una città che ho imparato ad amare pur non avendola ancora vista, con l’auspicio di avere sempre la forza per essere Angeli del Fango, di qualunque fango si tratti.