Festa di Halloween, il mio week end horror
Io la festa di Halloween la adoro. Mi è sempre piaciuta, in barba allo spirito nazionalista. Che poi nazionalista di che? In molti paesi della Sardegna ci sono usanze che la ricordano molto da vicino. Nel paesino di mia mamma, per esempio, i bambini vanno di casa in casa e, bussando alla porta, dicono: “Li molthi molthi”, i morti morti, che tradotto in calorie significa un sacco di dolci, frutta secca, mandarini o quello che passa il convento. Non ci si maschera, questo no, ma la radice di questa tradizione mi pare abbastanza simile a quella d’oltre mare, sebbene qui non si accenni minimamente a tale Jack O’ Lantern.
Ma arriviamo al succo, che parlando di questa festa non può che essere rosso. I festeggiamenti per la notte di Ognissanti stanno diventando sempre più frequenti anche nel BelPaese, cosa che non mi dispiace per niente. Pazienza per chi la pensa diversamente, ma io la notte del 31 ottobre aspetto le streghe. Ovviamente si fa per dire, e aggiungerei un purtroppo. Tra le poche volte che ho potuto festeggiare anche io la notte di Halloween ce n’è una in particolare che ricordo sempre con molto piacere, il week end horror a Cattolica, in cui “conobbi” Azzurrina.
L’idea venne a un mio caro amico che in pochissimi giorni riuscì a organizzare un viaggio memorabile. In realtà, quando mi spiegò il programma non avevo ancora ben chiaro a cosa sarei andata incontro, ignara e felice. Partimmo una mattina uggiosa quando il sole ancora ronfava beatamente. Buio pesto. La mia valigia aveva dimensioni paurose e, date le circostanze, si poteva tranquillamente pensare che contenesse un cadavere. Mi imbarcai sul volo mentre avevo ancora i sogni della notte precedente incastrati tra le ciglia. Atterrati a Bologna prendemmo il treno della speranza. C’era già luce sufficiente per scorgere lo squallore delle carrozze e per conquistare lo spazio vitale, naturalmente in verticale e seduti sulle valigie.
Facciamo un salto temporale evitando la descrizione del viaggio che, volendo, si può riassumere in una parola: pessimo. Arrivati all’albergo l’atmosfera si mostrò subito diversa. Nella hall, in bella vista, una bara semi aperta, proprio in mezzo alla stanza. Ragnatele ovunque. Dalla tromba delle scale si diffondeva una musica sinistra: la colonna sonora di Profondo Rosso. La stanza era piuttosto spartana, ma nel complesso tutto era sistemato in modo impeccabile e a tema con l’evento. Tutte le stanze erano occupate da giovani amanti del brivido. Subito dopo cena ci fu la prima escursione a un castello, ovviamente infestato. Visitammo tutte le stanze, soffermandoci in particolare in una sala dove spensero le luci e ci invitarono a scattare fotografie. Il risultato fu che in tutte le foto apparvero quelli che tecnicamente vengono chiamati orbs, cioè delle presenze ultraterrene che si manifestano sotto forma di sfere.
Ragnatele ovunque. Dalla tromba delle scale si diffondeva una musica sinistra: la colonna sonora di Profondo Rosso
Dopo aver camminato per più di quattro ore, costeggiando un cimitero sconsacrato dove i buontemponi dell’organizzazione saltavano da dietro le tombe vestiti da mostri, e aver condiviso biscotti e vin brulè con un gruppo di streghette incontrate per la strada, arrivammo alla locanda per la cena, che fu ottima. Ma il culmine della festa fu l’indomani, la notte del 31, quando ci portarono al Castello di Azzurrina.
Ancora ho l’angoscia per quel pianto, ma procediamo per ordine. Ovviamente la visita fu in notturna, ma anche di giorno ci sarebbe stato di che inquietarsi. Nella prima sala si poteva scorgere chiaramente, sul soffitto in legno, l’impronta di un piedino, quello di una bambina. La leggenda vuole che una bimba, la figlia del signore del castello, sia scomparsa in circostanze misteriose. La bambina era albina, cosa non troppo opportuna all’epoca. Per salvarle la vita la mamma era solita tingerle i capelli con una mistura di cenere che regalava ai capelli della piccola un riflesso azzurro, da cui il nome di Azzurrina.
La bimba scomparve nel seminterrato del castello inseguendo la sua palla. Ci fecero radunare attorno alla tromba delle scale dove scomparve la bimba e premettero play. Un tecnologico impianto surround sputò dalle casse un vocio, come un’invocazione satanica, misto al rumore della pioggia, ma si poteva udire distintamente il pianto della bambina che singhiozzava “Mamma, mamma“! Quella vocina sottile, flebile, impaurita, mi si è conficcata nelle orecchie, al punto che oggi, a distanza di diversi anni, quando mio figlio mi chiama con la vocina assonnata non posso frenare un sussulto. Forza della suggestione? Può darsi, e per questo Halloween il massimo della mia voglia di horror saranno dei biscotti allo zenzero.