Pensieri sott-in-Tesi e pensieri libanesi
Se stai facendo richiesta per la tesi e il prof ti dà carta bianca, si apre il mondo.
Come il tema libero alle elementari, per dire, solo che ti segna il futuro, quantomeno quello prossimo della specialistica e dell’eventuale dottorato.
E con il tema libero puoi decidere di aprirti, dire qualcosa di te, qualunque materia tu stia trattando puoi collegarti a qualcosa che ti riguardi, o decidere invece di giocare facile. Basta saperlo da prima.
Io non lo sapevo. Non lo sapevo che scegliere di parlare di Editoria e Stampa francofona in Libano significasse – ma forse a posteriori è chiaro – parlare non soltanto di quel qualcosa che amo dell’editoria, dei libri, della narrativa, delle informazioni che circolano, ma ancor prima del Libano, patria paterna e quindi in qualche modo anche mia, studiare un pezzetto di mio padre da lontano, e quindi un pezzo più o meno vissuto, accettato, messo da parte, sentito, rifiutato di me. Sembrava solamente il connubio ideale per una ragazza appassionata del mondo dell’editoria che, studiando Mediazione Linguistica, decide di gettare un ponte fra le due culture che ha avuto modo di approfondire in triennale: la soddisfazione della “tesi che sembra fatta apposta”, tutto lì.
E nel viaggio a ritroso in quel qualcosa che mi riguarda mi ci sono trovata controvoglia ed inaspettatamente, leggendo in un rapporto dell’Unesco sulla politica culturale libanese:
“Le médecin du village, de même que l’ingénieur, l’avocat et l’instituteur sont autant de guides et de conseillers auxquels les gens font appel pour prendre leurs décisions. En temps normal, ils servent de modèles à suivre; dans les circonstances exceptionnelles, ce sont les chefs auxquels on obéit”
( Il medico del paese, come anche l’ingegnere, l’avvocato, l’istitutore sono tanto guide quanto consiglieri a cui la gente fa appello per prendere decisioni. In tempi ordinari, sono modelli da seguire, in circostanze eccezionali si fanno capi a cui obbedire)
In fondo, parlando di Editoria e Stampa, della politica culturale dovevo pur parlarne, ma chi avrebbe detto che – rimango sconcertata. Riduco a icona la bozza. Fisso il vuoto oltre lo schermo del computer. Quella fiducia data a medici avvocati ingegneri io forse in Libano non l’avrò mai e in fondo ho già sentito l’antifona di questo disagio quando emerge a cadenze regolari la questione del cosafaraidagrande, quella fiducia data soltanto a guru prescelti – e una scrittrice o qualcosa di simile prescelta certo non è.
Io quella fiducia che dice l’Unesco l’ho vista sulla pelle, quando era regalata a persone perché il fato o chi per lui aveva dato loro una certa propensione per una data professione, ho visto che allora importava solo quella e poco altro, ho visto il resto passare in secondo grado, quella fiducia l’ho odiata quando si è trasposta in sfiducia verso tutto il resto, tutti gli altri, in qualcosa di simile al classismo, allo snobismo, alla bigotteria; l’ho rifiutata ed ecco che me la riportano come dato di fatto, statistica quasi, valore e tradizione, caposaldo, pilastro, ecco che obbligatoriamente alzo le mani in segno di tesa, non ho scelta, io se lo dice l’Unesco non posso davvero niente.
Non posso, figlia di padre libanese, cambiare qualcosa di così ancestrale, ed ecco che il legame padre-figlia oltre che del divario generazionale si carica della scissione Oriente-Occidente, io non posso e non voglio impormi come Occidentale-civilizzatrice-portatrice-di-valori-alternativi e sradicare questo sentire che sembra così primordiale, quei valori, quella fiducia in un certo tipo di istituzioni, quei miti e quei riti.
non voglio impormi come Occidentale-civilizzatrice-portatrice-di-valori-alternativi e sradicare questo sentire che sembra così primordiale, quei valori, quella fiducia in un certo tipo di istituzioni, quei miti e quei riti
Ma da quella fiducia in quelle istituzioni, da quei miti e da quei riti non voglio neanche farmi schiacciare perché non sono le mie, io che voglio fare la scrittrice o forse no, io che ho la mania del bastiancontrario come un po’ tutti in Occidente la abbiamo, perché gli eroi sono buoni e siamo tutti inetti antieroi e per questo ormai nuovi eroi quindi vecchi eroi; tutto questo paradosso del non cercare più l’élite è anche mio e mio voglio che resti, e faccio un passo indietro da tutto e di colpo mi piace essere me con tutte le mie incoerenze da Occidentale perché sono emerse stupidamente e nessuno le ha cercate, sono nata così, sono nata stupidamente Occidentale con i miei paradossi già addosso prima ancora dei calzini, sono Occidentale e non me la sento di impormi ai Levantini, mi piace questa diversità e che mio padre e la sua generazione mi guardino non capiscano e sparlino e leggano magari su altri trattati Unesco che in Europa i valori di una volta e le guide di una volta e gli esempi da seguire non ci sono più, e ognuno fa un po’ come crede, voglio dire con felicità quanto siamo anche soltanto sociologicamente così diversi ma che va bene così.
Ma guarda tu se due righe di rapporto Unesco dovevano dar spazio a questo bombardamento interiore a mille livelli.
No! No! No! Io sono pacifista. Occidentalmente e così sessantottianamente pacifista. Rido.
E comunque io sulla tesi questo dato non lo riporto, che un conto è prenderne atto e un altro conto è continuare a riportarlo, incatenare un popolo ad un’immagine, alimentare dicerie e bloccare quindi semi di correnti contrarie, fosse mai che in Libano c’è una sorta di me che senza essere avvocato ingegnere medico vuole scrivere, e in un popolo che si fila soltanto ingegneri e altri fighi poi chissà che fine fa.
Mi censurerò per questa persona, perché il Libano può anche essere un paese in cui “Le médecin du village, de même que l’ingénieur, l’avocat et l’instituteur (…) en temps normal, ils servent de modèles à suivre; dans les circonstances exceptionnelles, ce sont les chefs auxquels on obéit”, può esserlo, se vuole, certo, ma io sono per l’autodeterminazione dei popoli e non soltanto politica, quindi che una cosa si riporti una volta va pure bene, ma io non voglio farmi carico di mandare in giro questa voce, voglio fare finta di nulla perché si sa mai che emergesse un cambiamento, agognato cambiamento purché sia spontaneo e venga dall’interno, purché non sia stramaledetta egemonia occidentale, purché sia insomma germoglio di Libertà… E non solo dei libanesi.
Riapro la bozza della tesi. Dicevamo? Ah, sì: L’Editoria e Stampa francofona in Libano.
Qualcosa che mi riguarda più di quanto pensassi: ora lo so.