Incontro col vento gelido del Pamir
Dimenticarsi gli sguardi delle genti incontrate durante quest’ultimo viaggio di due mesi tra Russia, Centro asia e Medio Oriente è impossibile.
Il timido saluto d’un ferroviere al binario due della stazione Kazansky di Mosca, dove il treno 006 per Tashkent sta per partire, m’indica che il viaggio di quattro giorni in terza classe verso le terre centro asiatiche e medio orientali sta per cominciare.
Ricorderò per sempre il sincero sorriso d’un ragazzo uzbeko che, senza neanche presentarsi, mi aiuterà a posare il mio ingombrante zaino, divenendo con il passare dei giorni un inseparabile compagno di viaggio con il quale condividere ogni cosa per tutto il lungo tragitto sulla transaralica. Durante la traversata non si è mai soli: ogni sguardo diviene un invito a spartire le proprie mercanzie con l’altro, ogni pacchetto di sigarette un mezzo comune di socialità; e lo scompartimento assume le sembianze d’una grande famiglia che affronta l’eterna odissea sino all’Asia centrale, uccidendo il tempo e le difficoltà con la solidarietà reciproca.
La meraviglie di queste sono le vite quotidiane e reali dei locali, i sorrisi che ti abbracciano con il loro particolare calore e la rabbia d’essere stati ghettizzati in una orrenda prigione da un governo autoritario
Il paesaggio va cambiando lentamente, l’Uzbekistan è sempre più vicino, il giallo della steppa che ci ha accompagnati per più di tre giorni lascia spazio a fantastici colori rosacei e rossi dei fiori del deserto primaverile. Si cominciano ad intravedere alcune colline, i villaggi si fanno sempre più frequenti e nel treno cominciano i preparativi per l’arrivo.
Dopo svariate ore di noie burocratiche, Tashkent è ad un fischio di treno, la gente sorride con un ultimo bicchiere di vodka ed un brindisi alla capitale: siamo arrivati; la romantica odissea fino all’Asia Centrale è terminata, adesso tocca al resto. “Buona fortuna“, penso mentre bevo l’ultimo sorso di Vodka.
Uzbekistan, terra di madrase imponenti e dal fascino unico, crocevia centrale dell’antica via della seta; la sensazione d’incoscienza d’essere arrivato in questo paese prevale nello spirito facendomi balzare alla mente le emozioni provate prima della partenza, immaginandomi il fascino della zona. Purtroppoquel che mi figuravo resterà una sbiadita immagine del passato tramutatasi in distruzione culturale ed in un immenso luna park per turisti che riproduce un tradizionalismo artificiale fatto di colori e costumi esotici.
Ma basta spostarsi di poco dalle zone centrali, superare le orribili mura costruite dal governo uzbeko ed entrare nel cuore pulsante di alcune città, le zone popolari (mahalla), per rendersi conto del fascino di questi territori.
Entrando da un inguardabile portico, alcuni bambini m’attorniano sorridendo timidamente ad ogni mio saluto; aggirandomi tra i vicoli molte persone anziane dalla voce affaticata mi chiedono gentilmente di dove fossi invitandomi a condividere del tè con loro. L`aria ineguagliabile della mahalla diviene l`ossigeno d`ogni mio passo.
Le meraviglie di queste zone non sono le imponenti madrase, i monumenti ed i grandi ristoranti, ma le vite quotidiane e reali dei locali, i sorrisi che ti abbracciano con il loro particolare calore e la rabbia d’essere stati ghettizzati in una orrenda prigione da un governo autoritario.
Uscendo dal caos di alcune città riconosco la bellezza dell’Uzbekistan lasciando che lo sguardo si perda tra gli splendidi altopiani della valle del Fergana; un quadretto rıcco di colori che esplodono e si diffondono nell’immensità delle cime di montagna che dividono la valle dall’Uzbekistan occidentale.
Dall’altra parte il Kyrgyzstan, le sue montagne ed i suoi accampamenti di yurte abitate da popolazioni nomadi; supero un alto passo di montagna e mi ritrovo di fronte ad un piccolo villaggio immerso in un panorama indescrivibile. Le altissime cime in lontananza abbracciano nubi isolate scagliandosi verso l’alto come immensi giganti silenziosi, mentre il gelido vento del Pamir soffia sempre più forte bloccando le ossa; un incessante alito che dal Pamir scende verso valle sibilando tra i muri delle case.
Aggirandosi per il villaggio cominciano a scoprirsi timidi i saluti dei bambini, piccoli sorrisi dall’aria genuinamente cordiale. La naturalezza del villaggio mi avvolge con il suo semplice fascino fino a travolgermi lo spirito di forti emozioni grazie all’aroma di formaggio fresco che esce da ogni casa; i campanacci di una mandria di mucche risuonano nel buio in prossimità degli alti picchi di montagna che nell’oscurità della notte m’intimoriscono con la loro bianca presenza.
Timore che non tocca la mia personalità quando, superato il ponte dell’amicizia sul fiume Amu Darya, entro in territorio Afghano; un paese che grazie al senso di sana ospitalità delle sue genti risulta da subito sensazionale.
All’arrivo a Mazar-e Sharif il mio sguardo non può che esser rapito dalla sfarzosa moschea blu e dalla maestosità di quella perfezione architettonica; le piccole maioliche colorate sono diligentemente incastonate tra loro formando uno splendido intreccio di segni verde turchesi intramezzati da tracce dorate che rendono unica questa antica moschea del XV secolo. Cammino intorno al luogo sacro e mi perdo tra innumerevoli profumi e gli sguardi incuriositi di alcuni mercanti a riposo che talvolta accennano ad un rispettoso saluto disinteressandosi completamente del mio luogo di provenienza.
Dopo qualche giorno sono diretto in Iran, ed il panorama che mi si presenta al confine tra i due paesi ha del formidabile; davanti a me si apre un territorio fatto di sabbia che va a perdersi tra imponenti alture tortuose che si confondono nel profondo blu del cielo. Di tanto in tanto si scorgono villaggi interamente costruiti in terracotta nei quali le genti vestite in abiti tradizionali si aggirano tra le dune accompagnando piccoli greggi di capre, seguite da bambini attenti ad osservare ogni gesto del pastore.
Sono in Iran, e sotto agli imponenti portici del Khaju Bridge di Esfahan il suono dell’acqua che scorre si confonde piacevolmente con il canto di alcune persone e con la melodia malinconica d’una chitarra.
Dopo essermi smarrito tra le bellezze della metà del mondo è arrivata l’ora di dirigermi verso Palangan, un piccolo villaggio sperduto tra le montagne del Kurdistan Iraniano. Dopo un lungo peregrinare tra alcune città curde ed una serie infinita di tornanti, si scorgono per brevissimo tempo alcune casette color terra immerse in una strettissima vallata incastonata tra pendii vertiginosi e frastagliati; l’autista ci indica quello spiraglio di vita nominando il piccolo villaggio di Palangan. Dopo svariati minuti di scarpinata il villaggio si rivela in tutta la sua bellezza aprendo alla vista due magnifici caseggiati divisi da un fiume, che regalano uno spettacolo armonico d’irripetibile fascino.
Sarei potuto restare delle ore ad osservare tutte quelle finestre e quei tetti innalzarsi dalle sponde del torrente sino a centinaia di metri più in alto, ma dopo poco m’incammino verso un piccolo vicolo attorniato dalle mura di particolarissime abitazioni.
Strada facendo rimango colpito dallo sguardo d’un anziano pastore che a disprezzo della sua povertà mi regala la ricchezza d’un piglio fiero che mai potrò dimenticare. Nella più dolce delle quieti di montagna è affascinante notare che i tetti delle case fungono da piccoli cortili nei quali intere famiglie mettono in bella vista gli splendidi abiti tradizionali; l’aria è ricolma d’un unico profumo domestico che si mescola alla forte fragranza di gelsi, confondendo i sensi e sopendo ogni fatica nel lungo migrare verso la via del ritorno. l’aria è ricolma d’un unico profumo domestico che si mescola alla forte fragranza di gelsi, confondendo i sensi e sopendo ogni fatica nel lungo migrare verso la via del ritorno
E’ arrivata l’ora di ritornare in Italia; mi siedo su un’umile panchina dentro ad una anonima stazione dei bus di una città del Kurdistan iraniano, osservando una serie di fasci di luce che colpiscono i volti stanchi di alcuni giovani in attesa che un qualsiasi bus che li riporti alla realtà d’ogni giorno.
Dopo avere passato lunghe giornate girovagando tra il Kurdistan iracheno e turco ed i balcani, mi addormento tra i sedili di un piccolo aereo albanese. Nella distensione del volo mi ritornano alla mente le giornate passate nella mia cara Istanbul tra cortei e battaglie politiche che vivo con passione anche al di fuori della mia piccola realtà italiana, dalla quale adesso scrivo queste parole abbracciando i miei ricordi e sorseggiando un nostalgico sorso di çay. (continua…)