Fino all’ultimo respiro
Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard (anche questa volta siamo nel 1960) è uno di quei film che vanno visti, prima di tutto per capire cos’è la Nouvelle vague, ma anche semplicemente per non perdervi riferimenti o quant’altro, come è capitato a me.
Anni fa mi ero ritrovata, non so bene perché, un profilo Facebook chiamato Patricia Franchini, con la fotografia di una tipa con i capelli corti. In bianco e nero. Non devo aver indagato più di tanto all’epoca; mi ricordo di essermi resa conto che il profilo era un fake, ma non so perché non lo avevo cancellato. Forse perché “la tipa” parlava di cinema.
Fatto sta che il giorno in cui ho visto “Fino all’ultimo respiro” ho pensato, con uno strano senso di gioia: “ah, ecco a chi faceva riferimento!” quando finalmente ho ricollegato la persona al personaggio.
Insomma, uno di quei classici episodi in cui ritorna una memoria vecchissima, un piccolo particolare, che non si era riuscito a spiegare ma che prima o poi viene a galla col suo significato.
Fino all’ultimo respiro non è uno di quei film che cambiano la vita, o uno di quelli che fanno piangere o contorcere dalle risate. Il dramma c’è, ma è libero da sentimentalismi di primo impatto.
Fino all’ultimo respiro più di ogni altra cosa è mito: una volta visto, non si può togliere dalla testa l’immagine di Michel Poiccard (interpretato da Jean-Paul Belmondo) fuorilegge protagonista del film, che imita con il particolare gesto della bocca Humphrey Bogart in Casablanca.
Non si può dimenticare il buffo accento americano e quel taglio di capelli sbarazzino di Patricia Franchini (Jean Seberg), che vi giuro che mi è entrato talmente tanto dentro che per poco non mi tagliavo i capelli così.
Resta impressa l’assoluta libertà con la quale Godard ha deciso di girare il film, libero da qualsiasi regola.
Jump cuts a più non posso, un montaggio che fa diventare l’evento irrilevante e l’irrilevante evento. E’ sufficiente pensare all’esagerata velocità con la quale si rappresenta l’episodio della morte del gendarme, in realtà decisivo per lo svolgimento della storia.
Ma soprattutto, di questo film che racchiude sprazzi di conversazioni esistenziali, vedute di Parigi e tanta criminalità romantica, non si scorda la famosa dichiarazione di Michel Poiccard, che dirigendosi verso la macchina da presa (altro affronto al cinema classico) dice:
“Se non vi piace il mare… se non vi piace la montagna, se non vi piace la città … Andate a quel paese.”