Ein Prosit! Il cielo sopra l’Oktoberfest
Ore 21.09 del 21/09.
Neanche a farlo apposta l’orario di partenza del treno e la data del giorno coincidono e compaiono l’una accanto all’altra sul mio biglietto spiegazzato. “Ahahaha, papà!” – esclamo – “ero convinta che il treno partisse alle 21.09, ma lo sai che stavo guardando il giorno invece che l’ora!? per fortuna che coincidono!”. Sì, lo so, non mi smentisco mai.
La scritta luminescente del tabellone si accende pochi minuti prima dell’arrivo del treno (perché con le ferrovie, si sa, devi incrociare dita, mani, piedi e alluci fino all’ultimo) e un “Vienna-Monaco” poco rassicurante compare sopra la mia testa. Ma… aspetta un momento. Vienna? Monaco? Va a Vienna o a Monaco? Perché Vienna-Monaco? Solo più tardi qualcuno mi avrebbe spiegato che di notte, ad un certo punto della tratta, il treno si divide proseguendo per due destinazioni diverse. Ecco che alla notizia mi vengono in mente possibili avvenimenti al limite dell’assurdo e mi sento come Macaulay Culkin in “Mamma ho perso”… il treno: e se avessi l’urgenza di andare in bagno proprio mentre stanno sganciando le carrozze e, insonnolita, scegliessi il WC del vagone sbagliato, e mi risvegliassi a Vienna invece che a Monaco?
Il mio viaggio ha come destinazione l’Oktoberfest. Ora che ho svelato la meta starete pensando: ecco la solita festaiola tamarra che si prende il week-end lungo per andare a bere birra e rimorchiare qualche “crucco” alla festa più scontata e unta di ottobre. Ne, Ne! come direbbero i tedeschi. Mi spiace deludervi. In realtà sto partendo con uno zaino pieno di libri di linguistica tedesca e con ben altri propositi. Io a Monaco c’ho vissuto, all’Oktoberfest ci son già stata, e senza grande entusiasmo, e il Theresienwiese l’ho visto vuoto, quando è solo un grande piazzale spoglio buono per portarvi a passeggio i cani.
Grazie al progetto Erasmus Placement sono partita lo scorso giugno per fare un tirocinio di tre mesi all’Istituto Italiano di Cultura. Sono tornata a settembre con: molti meno soldi, una consolidata esperienza di segretaria tutto-e-niente fare, qualche nuova amicizia e, dulcis in fundo, un ragazzo tedesco, tedesco di Germania, di Monaco, di Baviera.
Ma torniamo al treno con la disorientante direzione “Vienna-Monaco” e alla confortevole cuccetta, dal prezzo “modico” che non svelerò, condivisa con una docente di storia della Germania dell’Università di Padova, diretta nella capitale bavarese per delle conferenze. Non posso fare a meno di condividere con voi l’ottima impressione che ho ricevuto da questa sistemazione (per una volta non sto scherzando). La cuccetta era dotata perfino di lavandino e asciugamani, i controllori tedeschi trasudavano gentilezza (e una leggera fiatella d’aglio), la sveglia del treno ha suonato puntuale, un’ora prima dell’arrivo, ed è stata seguita da ingresso trionfale di controllore tedesco panciuto con in mano due bicchieroni di caffè annacquato, nel momento in cui io ero in mutande, intenta a sfilarmi il pigiama.
Ore 6.15. Stazione di München. Sguardi soporiferi ma già tanto vociare.
L’eccitazione è alle stelle, gente di tutto il mondo sta arrivando per il brindisi di apertura e per assaporare quella birra che, proprio durante i giorni dell’Oktoberfest, viene fatta con una gradazione alcolica leggermente superiore rispetto al solito. Per le strade già si vedono ragazzi in cammino verso il “Wies’n”, così lo chiamano i locali, rigorosamente in abito tipico, con i famosi Lederhosen (maschietti) e l’immancabile Dirndl (femminucce), appena rispolverati per l’occasione dopo un anno di reclusione in armadio e indossati ancora una volta con campanilistico orgoglio.
Nessun tedesco, e soprattutto nessun bavarese, si sognerebbe mai di presentarsi all’Oktoberfest senza abito tradizionale. Per l’occasione se ne vendono tanti anche agli stranieri, e quando sali in metro e ti ritrovi circondata da ragazzine americane avviluppate nei loro drindl troppo stretti e troppo corti, e calzanti infradito, ti viene da sorridere e ti chiedi se abbiano fatto così tanta strada solo per questa festa di cui, probabilmente, non conoscono nemmeno la storia.
Non che io abbia fatto molta meno strada (9 ore di treno equivalgono a un volo transatlantico) e non che sia così indottrinata a riguardo, ma almeno posso dirvi che tutto ebbe inizio il 12 ottobre 1810, col matrimonio tra il principe bavarese Ludwig e la principessa Teresa von Sachsen di qualcosa, da cui prese nome il Theresienwiese (letteralmente i campi di Teresa).
Ma il mio sfoggio di sapere termina qui e, mentre ci dirigiamo verso casa per farci riabbracciare da Morfeo, chiedo incuriosita al tedesco di Germania: “ma senti un po’, in Italia me lo chiedono tutti: perché si chiama “Oktober-fest” se inizia e si svolge per lo più durante il mese di settembre?”. Con la faccia di uno che si è sentito fare quella domanda un numero spropositato di volte (ma forse mai alle 6.30 di sabato mattina) risponde: “beh, in origine si svolgeva in ottobre, poi lo hanno anticipato perché il clima è più mite in settembre e si può godere ancora di qualche bella giornata”.
Improvvisamente una vena sopita di orgoglio patriottico si risveglia in me.
Cari tedeschi, avrete anche il minor tasso di disoccupazione in Europa, l’economia più stabile dell’Eurozona, un governo che non sbaglia un colpo e potrete anticipare il vostro September-fest di tutte le settimane che volete, ma non avrete mai il nostro sole, il vero tepore di una giornata di fine estate, quella brezza che viene dal mare quando è sera e che sa di Africa. Almeno lasciateci questo, unico orgoglio da sbandierare insieme a pasta e pizza. Il mio guizzo di italianità non si dilunga oltre, anche perché mi rendo conto che non fa poi così freddo come avrei voluto rinfacciare ai tedeschi, e perché mi sento uno sguardo addosso. Siamo davanti a un manifesto di dimensioni esagerate, con una certa signora Angela (leggi con [g] dura) che mi fissa, quasi mi avesse letto nel pensiero, quasi a dirmi: “Ttu italiana, se non piace Cermania torrrna al tuo paese”. Domani si vota. E la frangetta bionda di Mutti campeggia in ogni dove, accompagnata dalla scritta “Kanzlerin für Deutschland”.
Ma addentriamoci nel vivo dei festeggiamenti. Con il mio dirndl nuovo di zecca e una treccia improvvisata sono pronta a calarmi nella parte della finta bavarese e a confondermi tra la folla. Entriamo nell’Augustiner-Bräu, uno dei famosi tendoni della birra, grazie a dei pass gentilmente messi a disposizione da una cara amica tedesca. Siamo fortunati e ci sentiamo dei vip, perché senza una prenotazione sarebbe molto difficile, se non impossibile, entrare in un capannone durante il fine settimana. Una volta dentro, è banale dirlo, l’imperativo è bere, brindare, cantare e saltare sulle panchine a ritmo di musica tradizionale.
I numeri prima di tutto. Forse non tutti sanno che un boccale di birra (ein Maß) costa 10 euro, e che durante l’Oktoberfest se ne consumano più di 6 milioni (un mio amico tedesco ha speso 50 euro di birra in un solo pomeriggio). Che ogni tendone, in tutto sono 14, contiene fino a 10.000 persone. Che il 30% di tutta la birra prodotta annualmente a Monaco viene bevuta in queste due settimane. Che le cameriere trasportano fino a 23kg di birra e fino a 12 caraffe alla volta a mani nude. Che ci sono 1.440 bagni, che vengono prodotte 900 tonnellate di rifiuti e che vi lavorano 13.000 persone. Vi gira un po’ la testa? Sicuramente vi girerebbe, andandoci, dopo qualche ora passata a schivare pestoni e spintoni e ad esser schiacciati da folle irrequiete, sollevando caraffe il cui contenuto finisce più sui vestiti vostri e altrui che in gola, al ritmo dell’incalzante melodia del brindisi più famoso al mondo:
“Ein Prosit, ein Prosit, der Gemütlichkeit. Ein, Zwei, Trei, Gsuffer!”
Ma qualcosa mi ha più colpito uscendo, la sera, mentre camminavo in modalità “allegria alcolica rilassata”, mano nella mano con tedesco di Germania. A qualche passo dal Wies’n, arrivando a Goetheplatz, l’entrata della metro alle nostre spalle, invasa da una ressa festante e in delirio, mi sono fermata a testa in su. A soli 300 metri di distanza il silenzio era disarmante, quasi il Theresienwiese fosse una bolla insonorizzata, e sopra le nostre teste sembrava giorno.
In questa foto sono le 23.30 ma il fascio luminoso che proviene dall’area dell’Oktoberfest è talmente forte da illuminare un’intera porzione di cielo. Sembra che il sole stia sorgendo, mentre tutto il resto è nero pece. Mi vien da pensare: è questo il sole della Germania? Non è forse tutto un grande business, questo circo che fa incassare alla Baviera quasi mezzo miliardo di euro in due settimane? É questa, vista da fuori, la grande macchina dei soldi tedesca, dove tutto è profitto e tutto deve filar liscio, senza intoppi, con precisione e magari superando le aspettative.
Ecco che i numeri e il cielo vanno a braccetto. Niente si fa niente per niente qui, neanche la festa.
Mi piace pensare che l’Oktoberfest sia come una lunga pausa rigenerante per i lavoratori tedeschi, un’enorme ricompensa ai loro sacrifici, un momento di svago assoluto prima di ricominciare un nuovo anno lavorativo. Perché tutti, ma proprio tutti, dall’operaio all’avvocato, affluiscono qui per confondersi in questo vortice di colori e odori, fatto di quadretti rossi e azzurri, cuori di marzapane dalle scritte sdolcinate e profumo di Weiß Wurst alla senape e Leberkäse.
Così lascio libero sfogo alla mia immaginazione e penso che forse l’ubriaco disteso a terra a pochi passi da noi potrebbe essere un ingegnere di successo o un manager con cariche dirigenziali, che lunedì mattina tornerà in ufficio col suo completo immacolato a lavorare sodo per questo paese.
Guardo il tedesco di Germania e gli chiedo: “a che ora vuoi andare a votare domani?”.
“Ho già votato” mi risponde.
“E come?”, chiedo allibita.
“Ho fatto richiesta di votare on-line”.
“Ah, wie in Italien!”, rispondo sarcastica. Proprio come in Italia!
Beviamoci su. Ein Prosit, der Gemütlichkeit!