Welcome to Australia. Da oggi, solo su questi schermi
Ore 06.25 del mattino, Melbourne Tullamarine Airport.
Emirates ci ha portati sani e salvi dall’altro capo del mondo. Bene. Ci siamo. La giornata non sembra promettere benissimo: piove e fa freddo. Se pensiamo che tredici ore di volo prima, alle cinque di mattina ora locale a Dubai, il termometro segnava trentadue gradi, mi sa proprio che qualcosa non va. Percorrendo il corridoio che porta all’area dogana e ritiro bagagli però, sorrido: manifesti di canguri e animali tipici australiani danno il benvenuto a chiunque si accorga di loro. Sì, perché alcune persone sgambettano veloci senza nemmeno rendersi conto di dove camminino: magari la moquette di questo corridoio l’han calpestata altre centinaia di volte. Tra costoro le hostess, ovviamente. Io no. Passeggio e sorrido: “ce l’hai fatta”, dico a me stessa, come per darmi conforto con una pacca immaginaria sulla spalla.
Nel cocktail di sensazioni che si sta preparando a livello epidermico riconosco l’ansia. Penserete: le mille paranoie che sanno infondere amici e parenti raccontandoti gli episodi di Airport Security stanno facendo effetto, e invece no. Il fatto è che ti accorgi che attorno a te hanno tutti giubbotti pesanti e sciarpe e rammenti che in valigia hai solo shorts e indumenti leggeri, tipicamente estivi. Il mio super-io si congratula ironicamente con l’io aggiungendo “te l’avevo detto!”. Infame. Ad ogni modo, scorriamo velocemente questa parte di film che, bene o male, non ha colpi di scena.
La valigia che arriva per ultima dopo mezz’ora di attesa (come se non fossero bastate le 24 estenuanti ore di viaggio tra voli e cambi) non ha scalfito l’umore positivo iniziale e, alla dogana, l’ufficiale donna non ha nemmeno ricoperto di mille domande trabocchetto la povera immigrata che alberga nella sottoscritta.
Superato il primo check si passa al secondo, dove un labrador carinissimo è più interessato ai bocconcini in tasca della guardia che alle mie valigie. Rispondo serenamente e accennando un sorriso alla domanda: “hai cibo o materiale vietato con te?”. “No”, dico, faticando ad articolare altre parole dopo aver trascinato i trenta chili scarsi di bagaglio. “Not even salami?”. Simpatica guardia, non è che essendo italiana io mi debba per forza portare pasta, pizza e mandolino in Australia! Oddio, l’ho detto o l’ho pensato? Allora allargo la smorfia sorridente un po’ di più, e ripeto: “no”. Tranquilla sorella. Ovviamente quest’ultima parte non l’ho detta. Proseguiamo.
Ultimo controllo, lascio il documento che ti fanno compilare in aereo all’ultimo ufficiale prima dell’uscita, auguro buon lavoro e buona giornata (con conseguente sgomento degli ufficiali aeroportuali ancora assonnati) e sortisco dalla porta numero sei.
Melbourne, Victoria, Australia, è reale. Mi viene a prendere un “ex collega” con la moglie. Avevamo lavorato insieme presso la Base Usaf di Aviano, Pordenone, l’anno scorso; lui, ufficiale dell’aeronautica con lavoro sicuro, ha deciso di trasferirsi con tutta la famiglia per ritrovare gli avi rimasti qui. Io, civile, a contratto scaduto, ho scelto di esplorare nuovi orizzonti, da sola. Attraversando la strada sotto la pioggia, mi ricorda di guardare prima a destra e poi a sinistra. Giusto. Nessuno mi investe. In compenso sto gelando. Australia: terra di sole e caldo accogliente; vai tranquilla, ti troverai bene. Tu, che hai detto così.. ti odio un pochino sai? Magari se la prossima volta non dimentichi i dettagli, è meglio! Dai, è solo oggi, domani farà caldo.
Qualche giorno dopo, ora incerta.
La media stagionale è bassina, ma ci siamo abituati al freddo e ci siamo resi conto che, grazie al vento costante, il tempo atmosferico è… incostante. Non fa una piega. Ti svegli la mattina con il sole che ti scalda il cuscino, esci a cercare un impiego, e nel giro di due ore si annuvola tutto. Piove. Passata la pioggia, sole. Vento. Tranquilli, è normale. Ah, certo, il sole gira al contrario (altro che gli sciacquoni del water. Simpsons, odio un pochino anche voi, ma è solo per un attimo…). Beh in realtà il giro che fa è sempre quello, indubbiamente, ma mi piace pensare che sia lui al contrario. A casa il sole sorgeva ad est, per noi a sinistra dando le spalle ai monti, e tramontava a destra. Qui no.
Contrario è il nuovo dritto. Le auto, si sapeva già, corrono al contrario: non sarebbe un problema se non ti venisse da cambiare le marce con la destra quando invece il cambio ce l’hai a sinistra. Dettagli futili. Certo, non per la tua memoria muscolare o le semplici azioni abitudinarie. Le persone per strada camminano al contrario; sì, non all’indietro: ma a sinistra si va, a destra si viene. E io che mi irritavo sempre quando, in Italia, trovavo il goffo che proveniva dal senso opposto magari sul marciapiede, e avveniva quell’incontro-scontro sfiorato in pura scena da stop calcistico, dove s’indugia un paio di secondi entrambi “dest-sinist-dest-dest-sinist” bloccati, via e borbottavo “A destra si va, a sinistra si viene”. Broncio. Qui ovviamente, non è così. Elencare tutte queste particolarità in una volta però non rende la specialità del complesso, quindi mi soffermo qui, per ora. Per sapere altro di questo viaggio si dovrà attendere la prossima uscita. Miii, mi hanno fatta diventare come le raccolte del Rakam o, per i più giovani, di “Esploriamo il corpo umano”: ogni settimana, in edicola. Beh, io in edicola non ci sono, ma mi troverete qui.
To be continued…