Noi, i morti di fame
I tempi delle migrazioni non finiranno mai…
In questi anni è toccato a migliaia di italiani lasciare le proprie famiglie e i propri paesi a causa dell’aggravarsi della crisi. Intanto, migliaia di africani e asiatici patiscono e sacrificano le loro vite nell’ultimo tentativo di evadere dal dramma della fame e delle guerre, salendo sui barconi della morte. Perciò è difficile parlare di una esperienza di emigrazione lasciando da parte il dato sociale accompagnato qualche volta, com’è accaduto questa settimana, dal fatto di cronaca. Sentendomi estremamente toccato da quest’ultimo, mi chiedevo se fosse mai possibile fare un racconto individuale o microsociale senza ricadere però in una success-story e, innanzitutto, evitando di essere travolto dalla valanga macrosociale, ovvero il luogo comune nel quale si riassume il fenomeno.
Eppure, oltre alla conoscenza che si può avere sui motivi dei flussi migratori che si producono sia in uscita come in entrata, ogni trasloco, ogni ricerca di un nuovo orizzonte, costituisce di per sé una storia propria e irripetibile. Mentre in queste ore guardavo l’album delle fotografie dei migranti annegati nel Mediterraneo, o ancora quelli che già da tempo campeggiano sui blog dedicati a narrare le vite dei giovani – mica tanto – italiani fuggiti dall’italica palude, mi sono reso conto che anch’io potrei farne uno raccogliendo immagini, storie e pensieri delle nuove amicizie e conoscenze: anche loro come me, sono camminanti in questo mondo. Tutti noi, insieme, ché siamo un numero per le statistiche, e una testimonianza per chi vuole teorizzare sul perché delle nostre scelte. Ma in quale misura si può rendere visibile la volontà che lotta per spuntare dall’interno di ognuno di noi?
Perché, come ho anticipato, c’è una volontà che brucia in noi, che ci rende unici. Unico come chi ha lasciato tutto nel suo paese per accompagnare il suo amore nel realizzare il suo sogno, e che, però, dopo qualche tempo si ritrova a fare quel sogno da solo, mentre il sognatore ci ha già rinunciato. Unico come chi è venuto a prendere qualcuno per ritornare poi insieme, senza però aspettarsi che, a distanza di anni, quello sarebbe rimasto. È unica la mamma che è arrivata senza farsi aspettare in risposta alla chiamata dei sui figli che da queste parti già si trovavano, lasciando a casa le patate che bollivano. E così anche la coppietta di giovani ragazzi che si sono tuffati in una nuova avventura non avendo l’uno che l’altro. Come gli altri che, come me, desiderano vivere una cultura che da lontano han sempre ammirato.
E tuttavia, nella nostra diversità, siamo capaci di trovare noi stessi un’essenza che ci accomuna. Se mai qualcuno chiedesse chi fossimo, avremmo modo di rispondergli: “i morti di fame”. Perché è vero che siamo dei morti di fame. Abbiamo fame di avventura, di sogni, di amore!