Mi rifiuto di chiamarlo “doggy bag”
“Scusi, questo può mettercelo in un doggy bag?”
Facciamo sempre attenzione a sibilare appena questa frase, nel timore che il silenzio circostante faccia rimbombare le nostre parole e ci esponga al pubblico ludibrio. Perché il piatto ci è piaciuto davvero tanto, ma siamo sazi e non ci piace ammettere che domani lo consumeremmo con piacere dopo una rapida passata in forno o al microonde. Perché fa accattone, fa miserello. E soprattutto, perché sappiamo bene che quel doggy bag non spetterà a nessun dog, ma finirà nei nostri stomaci.
Da una parte quindi l’incubo di essere additati come morti di fame, dall’altra la resistenza a quel modello che ci vuole fautori di spreco “a cuor leggero”. Vero è che lo spreco pare far parte della natura umana, carico di significati intrinseci a livello antropologico, ma vero anche che oggi abbiamo svariati motivi per sottrarci a questa messinscena della cena al ristorante, a questo fare obbligatoriamente sfarzoso e superiore. Soldi in tasca ne abbiamo sempre meno, il tempo a disposizione per cucinare cala proporzionalmente all’aumento della mole di lavoro e, soprattutto, fra del cibo ingiustamente buttato a causa di momentanea sazietà e un cibo riscaldato l’indomani c’è una bella differenza. Quindi: perché vergognarsi?
Ho sconfitto personalmente la resistenza paterna sul tema: con espressione decisa, quando ero sazia, mi sono sempre indirizzata direttamente al cameriere “scusi, ce lo può incartare che lo portiamo via? Era davvero molto buono, ma ora sono sazia”. E’ successo con una marea di funghi porcini avanzati da una pasta molto condita, ed io di buttare una porzione di funghi porcini mi rifiuto: ci ho fatto il riso per ben due volte, trasformandoli in una cremina. Mi è accaduto con le polpettine al tartufo in occasione di un pranzo a menù stabilito e a caro prezzo: erano buonissime, il giorno dopo, con un contorno di purè! Se sulle prime anche il cameriere alza il sopracciglio, quando poi sottolineo che la pietanza era assolutamente soddisfacente e che per questo motivo gradisco consumarla al pasto successivo, tutto assume un senso diverso. Gli avanzi vengono messi in un contenitore di alluminio, perlopiù in mia presenza, al fine di assicurare che il passaggio venga svolto igienicamente, ed io non vedo l’ora di scaldarmi gli avanzi prelibati. E, soprattutto, mi rifiuto di chiamarlo doggy bag.