Lasciare il segno
Me lo spiegò un maestro con cui trattavo il linguaggio del corpo: insegnare vuol dire lasciare il segno. E tu? Quanto mi hai insegnato tu!?
Non sono bastati vent’anni a cancellare ogni incisione a fuoco che mi hai fatto nell’anima.
C’erano i libri a ricordarci chi siamo stati, e c’eri tu a ricordarmi che le vie che piegano per i molteplici versanti della consapevolezza ci guideranno verso ciò che saremo. Ma non perdevi di vista quello che la storia aveva fatto di noi. Il nostro allora presente, era il futuro di scelte pregresse ma anche il passato del nostro incontro di qualche giorno fa. Avevi gettato le basi perché l’amore per te fosse irrisolvibile. Ed è andata così. Vederti venirmi incontro, sentirmi investita dalla entusiasta luce che i tuoi occhi proiettavano su di me – oggi come allora – ha rievocato inesorabilmente l’emozione che significava avere la tua attenzione, le tue carezze. Un’emozione che incideva sul respiro che diventava veloce. Incapace di saziare i polmoni, sempre troppo in debito d’aria per aver parole da darti. E tacevo. E ti ascoltavo.
Avevo undici anni. E li ho riavuti ancora, un’altra volta, con lo stesso fiato corto ad accelerarmi i battiti ed eludendo abilmente l’avanzata del tempo grazie agli sgargianti colori dei miei ricordi.
Ma non perdevi di vista quello che la storia aveva fatto di noi
Ancora bambina, di nuovo, per una manciata di preziosi attimi, come se il valore della vita si misurasse nella sua capacità di guardare indietro e riconsegnarti ai tuoi giorni migliori.
E pur cambiando la prospettiva, non è cambiato il calore di quella presenza. Mi sovrastava il tuo sguardo, un tempo. Adesso il mio corpo sovrastava te. Ma la tua poesia è rimasta intatta. Immobile e irraggiungibile.
Là, dove i miei occhi continuano a puntare quando pensano a te.