Il Mercante di Libri Antichi – Una Panoramica su Dino Buzzati
Pochi autori nel Pantéon della letteratura italiana scatenano in me una forte intensità di emozione. Un mulinello di parole, pensieri, immagini; frammenti emozionali di vita. Uno di questi è senza dubbio Dino Buzzati.
Buzzati non è tra i nomi più famosi per quanto riguarda gli scrittori italiani. Poco studiato nelle scuole, e per lo più misconosciuto in parecchi circoli intellettuali se comparato ad altri grandi del Novecento. Questo è un vero peccato. Buzzati non solo è uno dei più originali innovatori letterari del XX° secolo italiano, ma è anche uno scrittore unico, uno che per argomenti e stile è assolutamente inconfondibile; risalta agli occhi, come una pietruzza d’oro in una vasca di carbone. Nei suoi scritti assistiamo a forme di melanconia nostalgica, ambientazioni medievali e surreali, riflessioni profonde sullo stato dell’uomo e delle cose.
Penso si possa definire Buzzati come un mercante di libri antichi, di quelli impolverati e ingialliti dal tempo che si impilano sugli scaffali, ruderi di una biblioteca sotterranea, una grotta perduta nello spazio e nel tempo. Buzzati è un tipo che da questa tana sotterranea sale in superficie, se ne va in giro a raccogliere storie e testimonianze che poi restituisce cariche di un’energia potente, imperfetta, così come sono imperfetti i personaggi che rivivono attraverso l’inchiostro delle sue pagine.
Partiamo dalla sua opera più celebre: “Il Deserto dei Tartari”. La storia di Giovanni Drogo, giovane soldato mandato come sentinella in una fortezza militare ai confini del mondo, è un paradigma perfetto del dramma dell’esistenza umana. Tra visioni, cammini di ronda, e notti insonni veniamo trascinati anche noi nel baratro del protagonista, condannato ad aspettare un nemico invisibile dalla cima dei torroni della fortezza, consumando i propri anni e le proprie aspirazioni per il futuro di fronte all’aridità e la monotonia del deserto sempre uguale con cui la fortezza confina. Il libro è essenzialmente privo di eventi forti e di una trama strutturata, avendo però un ritmo e una dinamicità incomparabili, e costruendo l’atmosfera asfissiante delle mura della fortezza con meticolosa e studiata precisione. La storia è intrisa di filosofia sottile e pervasa da un sentimento nostalgico verso la vita e il domani. Nel corso del libro gioiamo, piangiamo, ci commuoviamo per la condizione di Drogo e della sua vita passata in perenne attesa di una guerra. L’atemporalità del libro e la sua perfetta circolarità danno risalto alla malinconia che pervade il cuore di Drogo, e danno al lettore lo stesso sentimento di rimpianto e nostalgia verso ciò che sarebbe potuto essere che affligge quest’eroe sfortunato.
Nel descrivere e scavare in profondità in questo senso di oblio e nostalgia, Buzzati è un maestro assoluto. Lo dimostra anche in diversi racconti brevi che, a mio modo di vedere, talvolta superano per spessore i romanzi.
Nella raccolta dei “Sessanta Racconti”, ma ancora di più in “La Boutique del Mistero”, il narratore friulano lascia la sua penna completamente libera di esplorare la pagina. Ecco allora che dal buio dell’inconscio arrivano figure dapprima confuse e poi sempre più distinte. Un esempio è il racconto “Il Colombre”, dove ritroviamo lo stesso senso di nostalgia, la stessa struggente inquietudine esistenziale. In questo caso è impersonificata in un uomo che per tutta la vita fugge per mare inseguito da un mitico pescecane, per poi accorgersi, ormai vecchio, che il mostro voleva solo portargli un dono del Re del Mare senza alcuna intenzione di divorarlo. Anche ne “Il Mantello” il lettore viene colto dallo stesso brivido, dallo stesso rimpianto che avvolge i protagonisti e che, allo stesso tempo, pare avvolgere il lettore, come se anche lui si ritrovasse esattamente come i personaggi, sperduto e abbandonato al suo destino, a pensare a quello che sarebbe potuto essere se le cose fossero andate diversamente. In questa storia vediamo un figlio tornare a casa dalla madre dopo la guerra. L’uomo è silenzioso, quasi irriconoscibile, avvolto in uno spesso mantello e nero in viso. La madre agli inizi non riesce a spiegarsi il perché, ma poi capisce che il figlio non è più in vita, è solo un fantasma, un ricordo, ma che tuttavia è venuto a visitarla per l’ultima volta prima di andare incontro al suo destino, tra le braccia della morte.
I personaggi di Buzzati sono così: ombre scure e sorrisi spezzati, anime inquiete che lottano contro la propria esistenza e contro il destino, rimanendo quasi sempre sconfitti o se non altro imparando a vedere la realtà sotto una luce completamente nuova, talvolta grottesca.
Un’altra caratteristica peculiare di Buzzati è il suo tentativo di ricerca, di esplorazione. Ha sempre cercato di cogliere il mistero di quello che avviene nelle risacche create tra il reale e l’immaginifico. Ha cercato di battere i territori sconosciuti dell’animo umano, rimanendo sempre al confine tra la realtà ordinaria e la fantasia più sfrenata. Emblematica è la sua frase a riguardo. “Ma più sovente mi tormenta il dubbio che questo confine non esista”, come a dire che uno stacco netto tra il mondo dell’immaginario e quello della realtà in verità non ha ragione di esistere.
E’ in questo contesto che storie come “I Topi” vengono alla luce. Una famiglia che lentamente perde il controllo della propria casa e della propria vita, schiavizzata e asservita a un gruppo di roditori abnormi e parlanti. Lo stesso avviene in “Paura alla Scala”, dove la presenza strisciante di un movimento rivoluzionario diventa ragione d’ansia e di terrore per gli spettatori di una prima nel celebre teatro milanese. La presenza sovversiva esterna è di fatto assente, eppure così pesante per tutto il corso del racconto: se ne percepisce l’odore senza poterne vedere i contorni.
Buzzati è forse uno dei maggiori esponenti del realismo magico nostrano, quello intriso di folklore, meraviglia e magia, e che trova le sue radici nelle tradizioni popolari italiane, nelle ballate medievali, fino a sfiorare i confini della fantascienza. Nei suoi viaggi attraverso i territori inesplorati della fantasia e del soprannaturale, Buzzati si ferma ora in un campo dove è appena atterrato un Ufo (“Il disco di posò”), poi nei boschi dove è in corso la caccia ad un mostro mitologico (“L’uccisione del drago”), e poi ancora in un ospedale di provincia, dove la differenza tra chi è malato e chi non lo è più è fin troppo sottile (“Sette Piani”)
Nel romanzo “Il segreto del bosco vecchio” il legame con questo realismo magico e folcloristico diventa più stabile, lirico e poetico. L’universo del libro è popolato da animali parlanti, geni del bosco che tentano di proteggerlo dai soprusi dell’uomo, bambini troppo curiosi e vecchi militari afflitti dal cinismo dell’età anziana. Il colonello Procolo, proprietario del bosco vecchio, si dà un bel da fare per amministrare la giustizia in una foresta incantata e ancestrale, dove i sogni d’infanzia e gli incubi dell’età adulta si manifestano come miraggi concreti, creando ansie e aspettative verso l’ignoto. Non è un caso che il libro intrecci diverse tematiche, dall’ecologia al male di vivere, dalla ricerca della serenità al desiderio di diventare grandi in fretta. Buzzati è sempre così: nel voler parlare di argomenti importanti e seri, si perde in divagazioni fantastiche, creando contesti e mondi paralleli, in cui il tema che sta al nocciolo viene fuori in maniera aggraziata, vivace e divertente, nascosto sotto la pellicola di irrazionalità e ironia di cui solo Buzzati è capace.
Da parte mia, quando avrò bisogno di trovarmi immerso nel mare della fantasia, pur rimanendo ancorato alle tematiche razionali e agli interrogativi che ci rendono umani, mi continuerò a rivolgere alle storie di Dino Buzzati. Solo lui riesce a creare questo sentimento di compassione e immaginazione pura, usando un linguaggio semplice ma non per questo meno rivelatore. Magari, in una delle mie peregrinazioni insieme a Buzzati potrebbe anche capitarmi di ritrovarmi in quell’angolo di creato che Dino ha sempre cercato di comprendere e apprezzare: il posto dove i fatti reali si mischiano alle visioni oniriche, e l’immagine che ne risulta è solo un’altra scintilla di vita che cerca di illuminare il mondo del quale ci ritroviamo ad essere protagonisti.