San Gennà pensaci tu
“San Gennà pensaci tu”. Non esiste napoletano che almeno una volta nella vita non abbia pronunciato questa supplica. Per sconfiggere una malattia, per trovare lavoro, o anche per vincere al superenalotto, San Gennaro, santo patrono della città di Napoli, viene vissuto come una sorta di caro amico di famiglia, da disturbare nei momenti di bisogno. Massimo Troisi e Lello Arena, quando erano ancora parte del trio La Smorfia, ne fecero uno sketch, in Non Stop del 1977, rimasto memorabile nella storia del teatro e della televisione.
Entrambi cercavano di avere l’attenzione del santo per qualche grazia da ricevere, pretendendo diritto di prelazione in quanto già “clienti”. Ed è proprio questo il tipo di rapporto che i napoletani, credenti o no, hanno con San Gennaro. Un rapporto fisico, quasi carnale.
Il 19 settembre è l’anniversario del martirio e una delle tre date in cui i fedeli attendono il rito della liquefazione del suo sangue, il cosiddetto Miracolo di San Gennaro. Lo si aspetta con il fiato sospeso perché, semmai non avvenisse, si prospettano disgrazie e sfortune d’ogni tipo ed entità. Il clima percepibile nel Duomo è quindi di preoccupata ma fiduciosa attesa. Le panche in prima fila sono quelle riservate alle «parenti», cioè alle donne anziane che pregando inveiscono per sollecitare «faccia ‘ngialluta» (faccia gialla, un appellativo con cui viene chiamato il Santo) a far sì che il sangue si sciolga nell’ampolla. Queste folkloristiche donne sono pronte a lanciare insulti e litanie mescolati ai composti ora pro nobis e Ave Maria. Lo spettacolo è assicurato. Da secoli va avanti questo mistero prodigioso, inspiegabile scientificamente, dinanzi al quale bisogna fermarsi almeno una volta nella vita. Il rito della liquefazione del sangue coagulato è il segno che dimostra l’approvazione del santo per la condotta della città e rinnova il vincolo tra questa e il suo principale protettore.
Una curiosità storica sta nel fatto che solo una fede “pazza” come quella napoletana poteva andare a chiedere la grazia davanti a un notaio. Mi spiego meglio. Nel 1526 Napoli voleva liberarsi dal flagello della guerra, che aveva anche causato la peste, e da quello del Vesuvio che continuava a provocare terremoti. I napoletani promisero al santo che, in cambio della grazia, gli avrebbero costruito una nuova cappella, più grande di quella già esistente. E per sottolineare che la cappella non sarebbe stata né della Chiesa né dello Stato ma di tutti i cittadini di Napoli, fecero un patto notarile ufficiale il 13 gennaio 1527. La grazia la ottennero e nel tempo la cappella, grazie a un patrimonio di beni popolari ma anche al contributo di re, regine, papi e imperatori, arrivò a raccogliere un vero e proprio Tesoro di San Gennaro, composto da più di ventunomila capolavori. Uno di questi è la Mitra, del 1713 dell’orafo Matteo Treglia, ricoperta da più di tremilaesettecento pietre preziose (diamanti, smeraldi e rubini) che serviva da copricapo alla statua di san Gennaro durante le processioni. Si narra che per realizzarla venne fatta una colletta in tutte le parrocchie del Regno e furono raccolti oltre ventimila ducati tra la gente comune. Questo sta a dimostrare quanto sia sempre stato considerato il santo del popolo. Oggi il tesoro è esposto nel Museo del Tesoro di San Gennaro, il cui ingresso è accanto al Duomo di Napoli e alla Cappella del Tesoro.
L’antifurto più efficace per una simile ricchezza? I napoletani stessi. Nessuno mai ha avuto il coraggio di rubare anche solo una spilla del tesoro. Solo nel film del 1966 Operazione San Gennaro di Dino Risi, con Totò e Nino Manfredi, se ne racconta appunto il furto sacrilego ma, essendo una classica commedia all’italiana, termina logicamente con un esilarante fallimento.
Altra curiosità che ho trovato sul web inerente a San Gennaro, è che da qualche tempo potrebbe definirsi il Santo 2.0. Perché? Perché da un paio d’anni esiste una app gratuita per iPad, iPhone e iPod Touch, Evviva san Gennaro, gestita dalla Cappella del Tesoro. Grazie ad essa il fedele può entrare nella sezione Accendi una candela e inserire il nome dell’utente, la sua città e il motivo del suo atto di fede. La candela apparirà per circa due ore sullo smartphone o tablet per ricordare la richiesta di attenzione. Ormai non ci sono confini spaziali neanche per la devozione.
“San Gennà, allora … mi raccomando, fai ‘sto miracolo pure quest’anno, non ci deludere. Tenimm già tanti penzier! E po’, se trovi tempo, senza troppo disturbo, ricordati di quello che ti ho chiesto io … Ah, e fai vincere l’Europa League al Napoli, o almeno lo scudetto. Grazie San Gennà”.