Quel vecchio pianoforte
Ogni giorno salgo le scale a chiocciola che mi portano all’ingresso della saletta su in mansarda e lo vedo. È un vecchio pianoforte elettrico, vecchio già quando lo comprai otto anni fa, e proprio come allora è pieno di polvere. Lo trovai in una sorta di negozietto – una bottega più che altro – tenuta da un simpatico vecchietto che riparava strumenti (per quel che ne sapeva e coi pochi mezzi che aveva) e offriva quei pochi, polverosi metri quadri alle persone che avessero qualche strumento musicale – ma anche una vecchia radio – di cui volevano liberarsi cercando di farci un minimo di guadagno. Io avevo sedici, forse diciassette anni, andavo al liceo ma quell’anno erano più i giorni in cui facevo “filone” (cioè che decidevo di non entrare e andarmene a passeggio) che quelli in cui andavo effettivamente a scuola. Una mattina c’era un sole bellissimo, l’aria primaverile mi impediva fisicamente di mettere piede in classe e sorbirmi due ore di matematica (non ci capivo niente, essendo rimasto mentalmente al programma di due anni prima) così io e un mio amico decidemmo di passare da Biagio. Tutti fanno riferimento a quel posto chiamandolo col nome del proprietario: non sono neanche sicuro abbia un nome. Il posto, non il proprietario.
Quando entrammo fui subito preso da quell’aria di antico, rotto, vissuto, che aleggia sempre in posti del genere, un po’ come in quei mercatini dove si trova di tutto e la tua attenzione può essere rapita da un momento all’altro da qualcosa che se non l’avessi vista non avresti mai saputo quanto la volevi. Io spero sempre di trovarci qualche tesoro, qualcosa di cui il vecchio proprietario non abbia saputo vederne il grande valore, o qualche oggetto con una storia interessante. A volte sono proprio le storie che portano con sé a rendere dei comuni oggetti preziosi, pur non essendo costosi. Biagio, il vecchietto, stava dando nello stanzino sul retro lezioni di chitarra a un ragazzino (sempre per quel che ne sapeva: a volte l’arrangiarsi non è una condizione ma uno stile di vita…) e noi cercavamo il nostro piccolo tesoro a pochi euro tra casse sfondate, ferri vecchi e roba che a vederla avevi l’impressione che probabilmente non funzionasse nemmeno appena uscita dalla fabbrica. Non dimenticherò mai la mia sorpresa di quando lo vidi per la prima volta.
Per quanto fosse grande, quasi enorme, se ne stava nascosto sotto un mare di cose. I pianoforti elettrici di solito sono essenzialmente costituiti da 88 tasti bianchi e neri con un po’ di plastica e legno attorno; la pesantezza dei tasti al tocco è più o meno quella di un pianoforte classico, anche se molto spesso è più leggera. Invece questo pianoforte, completamente in legno, portava dietro di sé un cascione, un ampio spazio in cui i progettisti avevano inserito una riproduzione della meccanica a martelletti tipica del pianoforte verticale.
Ribadisco, hanno inserito 88 meccaniche a martelletti in un pianoforte elettrico. Il martelletto ovviamente non colpisce la corda, che è quella che – in un pianoforte classico – vibrando emette il suono, perché non c’è nessuna corda da far vibrare! Il suono continua ad essere emesso da un normalissimo circuito. Tutto ciò per dare a chi suona quel piano l’esatta sensazione che si prova suonando un piano classico, la stessa pesantezza, la stessa risposta al tocco, seppur a discapito del peso totale che è effettivamente estremo. Mi sono commosso. Già questa cosa sarebbe bastata a convincermi a comprarlo, ma chiaramente dovevo sentire come suonava, e se funzionava.
“Scusi Biagio, si può provare?”
Interruppe la lezione, collegò il piano a una cassa che presumo fosse quella in cui testava qualunque cosa da almeno vent’anni, lo accese e mi lasciò davanti a quella tastiera. Che suono. Profondo, pieno, con sfumature dolci sugli alti e cupe sui bassi. Mai sentito niente di simile, se non in qualche disco di grandissimi gruppi.
Interruppe la lezione, collegò il piano a una cassa che presumo fosse quella in cui testava qualunque cosa da almeno vent’anni, lo accese e mi lasciò davanti a quella tastiera
Io in tasca avevo solo dieci euro. Ma il pianoforte era lì, io ero lì, e domani lui poteva non esserci più, e io lo volevo. Concordai col signor Biagio che l’avrei pagato a rate, portandogli ogni tanto qualcosa, e quando avrei finito sarei tornato a prendermi il pianoforte. “Io segno tutto sull’agendina”. Ottimo, comprato. Tornai a casa pieno d’entusiasmo e raccontai tutto ai miei genitori, i quali si incazzarono come belve più o meno per le seguenti ragioni: avevo fatto un acquisto senza consultarli; chissà quanto c’avrei messo per pagarlo; in realtà dovevo essere a scuola; come un babbeo non mi ero fatto fare uno straccio di ricevuta, cosa gravissima. Dopo essermi beccato urla in testa per una giornata intera, concordammo che saremmo andati insieme a parlare col signor Biagio – che annota tutto sull’agenda – e che appena avrei racimolato la metà dei soldi loro avrebbero messo l’altra metà. Questo per andarlo a ritirare quanto prima e chiudere la faccenda, ma attenzione alla clausola: fino a quando non restituivo anche la metà mancante dei soldi ai miei genitori non potevo usare il piano. In cuor mio mi facevo grosse risate, ma finsi che l’avrei rispettata, confidando nella pietà di mia madre.
Quando il piano fu finalmente a casa mia, mi resi conto con enorme dispiacere di un problema tecnico di cui non mi ero accorto prima, e che riaccese l’ira funesta dei miei genitori. Era impossibile da individuare prima, perché potevi accorgertene solo se lo suonavi insieme ad un altro strumento, ma vaglielo a spiegare! In sostanza: i piani elettrici hanno una funzione che si chiama Trasponse che ti permette ad esempio di premere Do e far uscire Re, o Fa# (diesis), o qualunque altra nota, semplicemente premendo +1, +2, +3,ecc.; per intenderci questa cosa serve a facilitare la vita ai pianisti meno bravi, che imparano a suonare nelle tonalità più facili, cioè quelle che richiedono meno tasti neri, e grazie a questo giochetto riescono comunque a suonare in tutte le tonalità utilizzando sempre le stesse, comode posizioni. A me questo giochetto non riusciva perché il meccanismo era rotto, ed era rotto in modo tale che non si riuscisse mai a stabilizzare sul tono originale. Per due anni ho suonato con la mano destra che suonava in La sulla tastiera, e la sinistra che suonava in Do#, che in realtà suonava sempre La, sul pianoforte.
Nel tempo sono riuscito a risolvere il problema del Trasponse, ma rimaneva il fatto che li pianoforte era troppo pesante per essere portato in giro quando avrei avuto serate dal vivo. Una volta portato in casa, non si sa ancora come, è sempre rimasto lì. E così ho dovuto comprare un altro piano elettrico, pietoso, ma leggero; quando suono lo collego al computer, perché mi fa schifo il suono che ha e quindi uso suoni virtuali, ovvero ottenuti grazie al lavoro di tizi che si sono messi pazientemente a microfonare e registrare nota per nota il suono di grandi pianoforti classici. Non è come poggiare le dita su quella tastiera così imponente, così viva. Non è come sentire a pochi centimetri dalla tua testa chinata sui tasti il rumore sordo dei martelletti. È solo l’unica soluzione che potevo adottare.
Così il piano è tornato a prender polvere. Quando lo guardo penso sempre a come sarebbe bello portarlo a suonare dal vivo: sono certo che rapirebbe gli altri proprio come ha rapito me. E tornerei ad avere quella bellissima sensazione: sentire le mie mani essere uno strumento per quegli 88 tasti bianchi e neri, e non viceversa.
Consolati vecchio mio, e anzi sii lieto, che tutta questa tecnologia così costosa, così articolata, così complessa, non fa altro che imitare te: un vecchio, polveroso, meraviglioso piano. E ora, musica Maestro!