E si resterà mediocri
È talmente presto per stabilire ciò che siamo.
Eppure ogni uomo non lesina di dar definizione di se stesso, raccontando eventi, o reazioni ad eventi, che costituiscono però solo la sua personalità di quel dato momento, la sua predisposizione di quell’istante, il suo dolore, la sua possibilità di accettare, la sua voglia di reagire.
Perché siamo lì a chiuderci in poco rassicuranti e incomplete definizioni che opprimono la libertà dell’essere? Siamo carnefici di un “sé” a cui impediamo la crescita, a favore di una struttura prefabbricata più o meno comoda che lo trattiene per i polmoni necrotizzandolo e che lo foraggia di povertà spirituale e penombra.
Non cercare l’evoluzione è coltivare la morte. Fosse anche solo quella intellettuale
Singhiozza la luce interna in ripetute stenosi, che rendono intermittenti la volontà e la determinazione, la consapevolezza e la coscienza, facendo stabilire alla nostra indotta “paura di diventare”, cosa siamo e come saremo ricordati anche oltre la consegna delle nostre spoglie alla terra.
Non accettare quello che in potenza siamo corrisponde alla paralisi. Non cercare l’evoluzione è coltivare la morte. Fosse anche solo quella intellettuale.
È la direzione che conta.
La nostra luce deve essere orientata verso la profondità alla quale possiamo ambire, raggiunta la quale si paleseranno altre infinite profondità da indagare e raggiungere.
Le luci della propria ribalta corrispondono a quelle che gli altri uomini puntano su di noi
Se lasciamo che il nostro getto di luce non ci preceda ma ci venga incontro, ne rimarremo accecati. Irrimediabilmente. E resteremo fermi a crogiolarci, credendo in un’improbabile e costante ribalta. Ma non è così. Le luci della propria ribalta corrispondono a quelle che gli altri uomini puntano su di noi, per stima, curiosità, caso o ammirazione. Se anche la nostra luce si adagerà in fallaci, quanto inutili, autocelebrazioni, si rischierà l’immobilità. E si resterà mediocri. Con se stessi e nella vita.