La mia personalissima lettera ad Ischia
Due giorni di fine marzo, un’isola, albergatori che hanno voglia di rilanciare il turismo e l’identità della loro terra con un marchio, #iloveischia. Anche io ho partecipato a questa due giorni, lezioni di turismo di BTO Educational, ma non solo. Quello che è successo, ve lo racconto qua. E parto con dei disegni. Elementari. Proprio come quando gli analfabeti lontani si scrivevano lettere d’amore. Li ha citati Mirko Lalli di Travel Appeal nel suo intervento, fonte di ispirazione per questo post, insieme all’entusiasmo che si respira sull’isola verde. La mia isola.
Lettere d’amore, connessioni. Partenze.
L’amore che si rivela
La nonna e la pianta da curare
Noi. #IloveIschia
No, non vi preoccupate se non avete capito i simboli. Qua c’è la mia personalissima lettera all’isola d’Ischia, al suo popolo, ai signori dell’ospitalità. Questa, cari amici ischitani, è per voi.
Cari amici lontani,
con il cuore che palpita vi scrivo questa mia personalissima lettera. Faccio scorrere l’inchiostro emozionata, nostalgica e innamorata. Con gli occhi che ancora brillano affamati di nuovi sguardi, di battiti di ciglia da appoggiare sul mare. Di gambe mai stanche di camminare sulla vostra terra fertile, colorata, felice. Densa e antica.
Innamorata, dicevo. Io non so se l’avete mai provato, l’amore a prima vista. Onda travolgente e inquieta, adrenalina che si innesta potente, quasi a non farti capire più niente. Che diventa dipendenza assoluta. Io, amici cari, quell’amore l’ho provato, sentito, avvertito. E ancora mi circola addosso. Ho amato la vostra isola fin dal primo momento, quando una sera la barca è attraccata al porto che brillava di luci, d’inverno. Approdare in quel porto è stato come trovare finalmente casa. Non quella in cui nasci e cresci. Piuttosto quella che cerchi, durante la vita. Per questo si viaggia. Per cercare se stessi nei luoghi del mondo.
La vostra isola mi ha accolto, curato, abbracciato. Il posto giusto dove rinascere. O crescere. O semplicemente continuare a vivere. Vivere non è cosa semplice, sapete. Bellissima, certo. Ma non semplice. E invece, ad Ischia, tutto sembra nascere, vivere, riprodursi con estrema, innata naturalezza. I cedri e i limoni così diversi l’uno dall’altro, ognuno con il suo colore, forma, profumo. I fichi succosi. Il vino, fruttato e profumato. La natura, che non sente caldo, né freddo. Nemmeno paura. I cani liberi, le terme dalle acque sacre, i gabbiani che tagliano cielo e mare, nei loro voli quieti prima di appoggiarsi sui muriccioli freschi del Castello, godendo dell’ombra.
Qui, ho riscoperto la bellezza delle cose perdute. Lasciate per strada. Dimenticate, a volte. E che invece qui rimangono saldamente ancorate alle persone. La chiamano identità di un luogo. Sono radici, radicate come fondamenta alla terra, al vulcano, al mare tutt’intorno. Voi, partite avvantaggiati, cari. L’ho avvertito subito, appena sono tornata da voi, qualche giorno fa. Con una valigia di vestiti invernali e qualche indumento che aveva voglia di primavera. E l’ho trovata sull’isola, in voi. Primavera che avete addosso come una pennellata d’azzurro. Voi, che siete i signori dell’ospitalità, che aprite le vostre “case” a chi viaggia, avete davanti una nuova stagione. Sarà baciata dal sole, credetemi perché siete un unico “popolo” che è pronto per crescere insieme. Volate alti come i gabbiani, sapendo toccar terra, al momento giusto. Raccontate di storie andate ma anche di quelle dell’oggi che sono altrettanto belle. Portate il vostro sentire per l’isola verde nelle trame della rete, che sono universali, libere, aperte. Perché un sentimento, un’emozione, si possono raccontare anche con una frase, una foto, una porta d’albergo aperta. Io, i vostri sorrisi, me li porterò dentro, insieme ad una promessa, tornerò. E con una convinzione, che ho maturato solo adesso. Solo dopo avervi incontrati.
Credevo di essermi innamorata dell’isola per le acque smeraldo, per il Castello imponente, per i sapori incontaminati che profumano di passato, per quelle strade che si inerpicano verso l’Epomeo e regalano mare agli occhi. Credevo di amare la vostra terra per le baie nascoste, che ci accedi solo dal mare, per i sentieri che riservano sorpresa, per quelle case che si celano nel tufo, quando era la terra a proteggervi dai Saraceni cattivi. Poi, però, ho capito ciò che amavo e amo davvero. Voi. La vostra ospitalità. E non è banale, vi giuro. Un luogo lo fanno le persone che ci vivono. Che lo plasmano, lo curano e ne tengono di “conto”, come usiamo dire noi, a Firenze.
Vi racconto un aneddoto. Mia nonna, mi regalò una pianta. La pianta della Madonna, che serve a curare le ferite. Si toglie il primo strato della foglia e poi la si posiziona, viva, sulla pelle. Aiuta a togliere le infezioni. Miracolosa. Era in un piccolo vasetto. Me lo porse e mi disse proprio questo, appoggiandolo sul palmo della mia piccola mano: “Tienne di conto, mi raccomando”. L’ho fatto, sapete. E non è stato facile proteggere negli anni quella piccola pianta dal freddo, dal sole cocente dell’estate, dai giorni in cui sei preso dall’affanno del lavoro e ti dimentichi di dare acqua a quelle foglie. Voi, invece, “signori dell’isola” e “signori dell’ospitalità”, siete squadra e siete popolo, pronti per continuare a far crescere le vostre piante, a curare il vostro mare, a dissetare la terra fertile che è casa vostra. A portarla nel mondo, la vostra isola. E a portare il mondo a trovare quel porto, a cui approdare. Io vi amo. E amo lei.
Per questo vi scrivo a mano, perché una dichiarazione d’amore così non si può affidare ad un font di google, non me ne vogliate per questo, signori della modernità. Uso carta. Penna. Inchiostro nero. E uso la rete per portarlo nell’infinito il mio messaggio d’amore. Con la mia personalissima lettera a Ischia e a voi, amici cari.
Vi penso e vi saluto con il nostro hashtag, che da solo dice tutto: #iloveischia
vostra,
Simona