Ti scruterò: l’elettore medio di fronte all’urna
Intendiamoci, riconoscere l’elettore di questo o quel partito non è cosa semplice. L’abito, come si dice, non fa il monaco. Tuttavia dopo qualche esperienza di scrutinio cittadino vi voglio donare questo vademecum dell’elettore medio riferito ai principali schieramenti politici degli ultimi anni.
Difficilmente il giovanotto in procinto di diplomarsi voterà PD. Troverete qualche elettore nella fascia 18-25, ma è una fetta di votanti trascurabile, qualche maturando con il sogno di Harvard per l’anno a venire, un paio di universitari con la media del 30 e lode e poco più. Sono finiti, del resto, i tempi in cui il PCI (si, parte del PD deriva da questo partito) faceva incetta di voti tra apprendisti e garzoni. In compenso quei giovani che un tempo votavano PCI hanno seguito le traversie del maggior partito di sinistra e, sebbene attempati, li ritroverete tutti ad ogni elezione in cui vi capiti di scrutinare. La maggior parte dell’elettorato PD è quindi superiore ai trent’anni, ben vestita, occupa posizioni lavorative alettanti e protette e non vi chiederà mai, e dico mai, come si vota, semplicemente perché lo sa meglio di voi. Una menzione meritano gli over 60. Questi sono autentici residui bellici di un tempo in cui le passioni politiche non si limitavano agli sfottò del day after. Il loro senso civico travalica il consentito: non è inusuale vedere persone non più in possesso delle proprie facoltà mentali accompagnate da generosi amici fino alla soglia della cabina elettorale. Che dire, se questi buoni samaritani del diritto di voto conoscessero le nuove dinamiche dei social network avrebbero sicuramente un paio di identità fasulle, oltre all’originale.
L’elettore del M5S è solitamente under trenta, non ha un modo di vestire particolare, ma difficilmente lo vedrete in giacca e cravatta. Probabilmente vi osserverà con sospetto per diversi motivi: 1- è convinto che vogliate distrarlo e rifilargli una scheda fasulla. 2- la sorella ha anch’essa richiesto di fare la scrutatrice e non è stata chiamata, ergo voi conoscete qualcuno che lei non conosce, raccomandati del menga. Potrebbe anche essere che l’elettore grillino rimanga nella cabina qualche manciata di secondi in più della media con l’obiettivo di intercettare qualche frase compromettente del Presidente. Se non vi sarà comunque chiara l’identificazione, lasciatelo parlare ed egli sarà ben lieto di farvi capire per chi voterà. Starà quindi a voi captare frasi del tipo: “questa è l’ultima”, “tanto non cambia nulla”, “si, ma lasciamo perdere”, “ormai non ci spero più”.
L’elettore di Forza Italia non è distinguibile, ormai è chiaro a chiunque. Un tempo poteva essere d’aiuto la frase “Non volevo venire, ma poi ho detto vabbè, dai, per stavolta”, ma ora questo potrebbe essere anche sintomo di grillinismo. Un collega di seggio una volta mi raccontò un fatto tramandato da altri colleghi impegnati con le elezioni: in un seggio dove votarono solamente cinque persone e due portavano i capelli rasta lo scrutinio finale risultò: 4 voti PDL e 1 Rifondazione comunista. Non aggiungo altro.
Chi vota Lega Nord difficilmente ha un cognome che finisce con -ore, -ello, -uno, -u, -is. Questo può già esservi d’aiuto. Altro indizio: essendo notoriamente prodigo di richiami alla virilità, solitamente è di sesso maschile. Se poi notate che fatica a distinguere la carta d’identità dalla tessera elettorale, se vi chiede “dove devo andare?” quando le cabine elettorali sono libere e dominano la stanza, sappiate che quello è l’uomo. Un aneddoto personale. Apro una scheda e mi trovo una bella croce sul simbolo leghista con al fianco, scritto a matita, “W Salvemini”. “E che è? Uno scherzo?” ho pensato. Gaetano Salvemini, uno dei più grandi meridionalisti, inneggiato da un leghista? Poi ho dedotto che Salvemini stava per Salvini e allora una grande tristezza mi ha pervaso l’anima.
L’elettore di liste di sinistra (più a sinistra del PD, vedi Tsipras) arriva al seggio con l’aria di chi va dal dentista a togliere un molare di troppo. Massì, insomma, facciamo in fretta, prima si vota, prima arriva lo scrutinio e prima si dimentica l’ennesima batosta elettorale. Rassegnato, l’elettore di sinistra infilerà la scheda nell’urna, vi farà un cenno di saluto mentre ritirerà i documenti e quindi, a pochi metri dall’uscita dal seggio si volterà timidamente chiedendo “L’affluenza?” E alla vostra risposta scrollerà le spalle, quasi impassibile. Del resto, che abbiano votato il settanta o l’ottanta percento dell’elettorato poco importa, lui fa parte di un 3,1 %.
C’è infine l’elettore che disperde il voto, comprendendo in questa categoria l’annullatore di schede, colui che vota per il Partito delle tre fiere dantesche o colui che la scheda la preferisce linda, così come il tipografo l’ha fatta. Costei arriva in tuta nell’orario di punta, quando la fila all’esterno del seggio raggiunge i sette metri, i bambini strillano la loro invidia per i figli degli astenuti e tutti sono accomunati da un forte sentimento antiburocratico. Costei prende la scheda, entra in cabina e vi rimane cinque e più minuti. Quindi esce, imbuca e sgattaiola via. Perché tanto tempo? Probabilmente per sviare lo scrutatore, come se a questi interessasse qualcosa di cosa fa l’elettore in cabina. Oppure, come nella più bella delle tradizioni elettorali della prima repubblica, perché ad affettare il salame e infilarne una fetta nella scheda elettorale occorre un po’ di tempo. Perché i partiti e i simboli cambiano, ma gli italiani rimangono sempre gli stessi.