Non so dire addio
Una delle cose alla quale non avevo minimamente pensato nel fare le valigie per l’Erasmus erano gli addii. In questi giorni sto salutando molti studenti non fortunati come me, che hanno usufruito della borsa di soli cinque o sei mesi. Il loro periodo di studio all’estero è quindi finito, se ne tornano a casa uno alla volta, in un gran polverone di cene d’addio e abbracci, bagagli troppo pesanti e lacrime. E promesse.
Un ritorno in patria, alla vita normale, alle giornate in famiglia, all’università d’origine, agli amici di sempre. Un punto definitivo alla condizione tanto decantata di studente Erasmus, sempre in bilico fra alba e sveglia, vino e valigie, lingua e sveglie.
Che cosa strana gli addii. Quanti ne avete detti voi? Ti auguro il meglio, forse ci rivedremo, in futuro, da qualche parte potremmo rincontrarci; oppure non ci rivedremo mai più. E se ci rivedessimo non sarebbe più la stessa cosa. Non saremo mai più studenti ventenni a Barcellona. La città ci sembrerà diversa, non sarà più la nostra.
È in questi momenti che sento tutta l’irripetibilità di questa esperienza.
A pensarci gli addii fanno parte del viaggio, tanto quanto comprare i biglietti dei pullman o fare la doccia in un bagno che non è il tuo. Però è così strano pensare di non rivedere più una persona.
E pare non ci sia nulla da fare se non abbracciare forte e aggiungere un puntino sulla mappa mentale, quella geografica degli amici che ti ospiteranno quando capiterai dalle loro parti.
Menomale che non mi sono innamorata. Quanto è triste un addio tra amanti? Un addio dettato dalle circostanze, intendo. E non venite a dirmi che l’amore vince le distanze, perché lo sappiamo tutti che se sei uno studente squattrinato nel mezzo di un percorso di laurea da finire no matter what, beh, dar carburante ad una relazione che copra chilometri non sarà certo facile. E Skype non sempre aiuta.
Ma immagino anche questo faccia parte del gioco dell’amore esotico. Quindi eccoci, un’altra voce da aggiungere alla lista “Cose che ti insegna l’Erasmus”: imparare a dire addio.
E altri occhi, accenti, sorrisi e voci da ricordare di aver vissuto. Magari un giorno li racconterò tutti, confondendoli fra di loro come piace al tempo. Forse sono troppo sentimentale. Ma se sento uno scarabeo verde-viola nella trachea quando dico addio ad un amico… beh, vorrà dire che una qualche luce nel viaggio si è autogenerata. Qualcosa è nato; qualcosa è stato.
Quante lampadine tondeggianti in questa Barcellona d’inizio febbraio.