Quando al cinema avevano paura dei treni
Il cinema fa sempre il suo effetto, c’è poco da dire. Agli inizi faceva scappare la gente dai teatri perché si pensava che un treno potesse davvero arrivare a sfondare le pareti e uccidere tutti – questo almeno è il racconto leggendario legato a “L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat” dei fratelli Lumière. Per analogia posso raccontare come è stato veder morire al cinema una delle persone più care.
L’ultimo film di Ivano de Matteo, “I nostri ragazzi”, ruota attorno all’uccisione di un personaggio da parte di due ragazzini. Il personaggio è Viviane Nicolai che conosco da una decina d’anni e che piano piano, dopo un percorso teatrale, si sta affacciando al cinema. La cosa più terribile è che Viviane nel film mantiene il suo nome ed il suo bilinguismo italo-francese. La ammazzano brutalmente e io rabbrividisco. Ai titoli di coda mi alzo subito e afferro il cellulare: sei stata bravissima Viviane, però che angoscia, le dico. E poi avrei voluto aggiungere: ma stai bene? Sei serena? Sicura che è tutto okay?
Ma era solo un film, Viviane la immagino bere una birra da sola o in compagnia mentre brinda al successo cinematografico. E’ solo un film, dico allora a me stessa, è come il treno in sala che non uccideva nessuno perché era solo la proiezione di una finzione, è soltanto una ripresa cinematografica – vado a brindare anche io.