La prima lucciola di primavera
C’è un filo di verde all’orizzonte, lungo una strada bianca che pare di essere in Valdorcia. Siamo in un quadrilatero di natura, dove piccole viti iniziano a sbocciare, si preparano a diventare frutta succosa a settembre. Noi le guardiamo, mentre il contadino ripone gli attrezzi di una giornata di lavoro e si appresta a gustare la cena. Tu mi indichi quelle piccole foglie che nascono dal tronco contorto, dolci gemme che ti ricordano che è primavera e che ci sarà tempo anche per il vino, tra qualche mese. Basterà saper aspettare.
Basterà saper aspettare.
Ci andremo ogni giorno, in quel pezzo di terra a ridosso della città, per osservarla modificarsi nella forma, nel colore, nella solidità.
Un po’ di me sta dentro quel solco che oggi hai sulla pelle, un po’ di te è appoggiato sulle mie labbra che oggi sorridono più del solito. Sereni con quel niente che è tutto mentre divoriamo una schiacciata al prosciutto, beviamo birra e ci promettiamo che la prossima volta ci delizieremo con un Gewurztraminer ghiacciato e calici per brindare alla felicità, per lasciare un sogno sospeso in una sera d’aprile, a due passi da Firenze, pensando agli anni che passeranno, immaginando a come sarebbe domani insieme. Pensandoci vecchi, a dipingere e viaggiare, perché ogni età ha le sue cose belle. Perché come la vita, l’amore ci cambia ogni giorno e a noi i cambiamenti piacciono, non fanno paura. Sono emozioni che ci regaliamo e che ci rendono migliori.
Di una cosa sono certa, ti dico mentre l’auto ci tiene ovattati. “Io sono migliore di ieri, con più anni sulle spalle e meno davanti ma con più certezze nella valigia che mi porto dietro. Io, i miei quattro stracci e l’anima vagabonda siamo una triade che ha sempre viaggiato alla ricerca di un porto che ci abbracciasse e ci facesse sentire a casa. Desideravo solo sparire da Firenze, lasciare la mia città per correre via. Prendere treni, scappare, incrociare il mare, salpare e raggiungere la mia isola. Lontano dal mondo, là dove mi sentivo al sicuro. Non avevo radici che mi tenessero ancorata alla terra che invece oggi sento mia, che sento casa. Tu per me sei casa, lo sei stato dal primo momento”. Te lo scrivo e te lo sussurro senza paura di dire troppo, che le teorie in amore servono solo a nascondere ciò che siamo, non si sa bene perché. Fuori, intanto, la luna si incendia di arancio, di rosso, di giallo. Grande come non lo è mai stata. E sembra un lampione gigante in mezzo al cielo nero. Le viti giovani, intanto, sono ancora lì. Dormono, aspettano un nuovo sole. E – nella notte – tu porti il dito indice davanti a noi. Verso una lucciola. Brilla. Si posa tra l’erba fresca di notte, vola e mi emoziona come quando ero piccola e mia nonna mi portava in giardino a vederle illuminare la stagione buona. Sono segno di rinascita, dicono. Sono luce nuova. Come quella che cercavano i pittori impressionisti, immersi per ore nelle campagne francesi a gustarsi il mutevole colore della natura nelle ore del giorno fino al calar inesorabile della sera. Luce che tutto illumina e tutto cela, quando si fa debole e se ne va a dormire. Come quella piccola larva appena nata e che ci vola addosso. La nostra prima lucciola di primavera.