Una città tutta mia
Qualcuno ha detto che viviamo aspettando che accada l’inevitabile. Forse aveva ragione perché ogni tanto lo scorrere falsamente beato della nostra vita viene interrotto da qualcosa. Sei in una città, stai guidando la macchina e sei da sola, stai cantando a squarciagola un pezzo dei Rolling Stones e improvvisamente, come solo lui sa fare, senza un avviso o che so io, il telefono squilla e ti arriva una notizia. Bella o brutta. Oppure magari incontri al semaforo un amico che non vedevi da tempo. O ti rendi conto che è tanto tempo che non ne vedi uno in particolare.
E così, in quel momento, devi guardare il quadro di insieme. Perché quello che stavi facendo era guidare tranquillamente per le strade della tua piccola, personale, città mentale. Hai girato in un vicolo, che prima era una scorciatoia, e scopri che è franato. O ci sono i lavori in corso. O ci hanno costruito un grattacielo nottetempo. A tua insaputa, alla Scajola maniera.
Che fai?
Perché quello che stavi facendo era guidare tranquillamente per le strade della tua piccola, personale, città mentale.
A me è raro che vada di alzare il telefono e chiamare quella ditta. Sempre perché, di solito, lascio che le cose vadano dove devono. Non che non mi vada di combattere. Ma ho imparato a farlo prima. La mia è una sorta di lotta continua per evitare di arrivare al punto di non ritorno, alla strada senza uscita. Se poi, nonostante tutti i miei sforzi, la strada si chiude perché c’è una rivoluzione civile, da sindaco della città io non mando neanche la polizia. Posso inizialmente parlare con i sindacati. Ma se proprio lo volete, questo grattacielo, costruitevelo e basta.
È uno sforzo innaturale cercare di non dare le cose per scontate, a volte fallisco miseramente. Ma i momenti che preferisco sono quando mi risveglio e guardo una persona che conosco profondamente con occhi nuovi. Cerco di chiederle cose come se non le sapessi già. Perché, e di questo sono convinta, non le so già. Tutte le persone che ci circondano non sono mai uguali a ieri. A me gli spinaci sono sempre piaciuti, ma ora se sento solo l’odore mi viene da vomitare. Successo quest’anno, tutto insieme, non so perché.
E così vale per tutto il resto.
di solito, lascio che le cose vadano dove devono. Non che non mi vada di combattere. Ma ho imparato a farlo prima. La mia è una sorta di lotta continua per evitare di arrivare al punto di non ritorno
Ieri sera ho parlato con una persona che è come una sorella. Ha una cittadella tutta per sé all’interno della storia della mia vita. È lì dall’inizio del mio piano regolatore ed è passata dalle case di fango ai grandi progetti di architettura moderna ed ecosostenibile. L’ho guardata ogni volta con occhi diversi, e ieri ho capito che torniamo sempre nella stessa casa di fango a parlare delle ville ultramoderne in cui viviamo. Come se le conoscessimo, anche se abbiamo aggiunto dei pezzi mentre entrambe eravamo via. Quelle sono case che non crollano, scorciatoie che non franano. Si alimentano in maniera naturale, anche se mai da sole.
E fa parte di quelle zone salve, dentro a questo mondo tutto in divenire. Sono pezzi di città costruiti come la muraglia cinese: incrollabili. Calcolare che sia impossibile che arrivi una bomba è da stupidi. Ma sapere che debba essere come minimo nucleare per sortire qualche effetto è il motivo per cui ti ci rifugi, quando trovi quella frana inaspettata.
Domenica invece ho guardato con nuovi occhi la nuova me stessa mentre lavavo i piatti. Nuova, rispetto anche solo a venerdì. Ho fatto un giro mentale nella mia città, tra una pentola e un piatto insaponato, per capire come mai certe cose mi fanno male. E sarà che con la pratica si diventa bravi, ma alla fine del risciacquo ho avuto tutto chiaro. Ho capito per l’ennesima volta che molti dei problemi nascono dal centro storico. Ho capito anche che si risolvono lì, quando per colpa della ZTL devi lasciare la macchina e metterti a correre sull’acciottolato antico, come quando eri bambina.
Ho capito per l’ennesima volta che molti dei problemi nascono dal centro storico
Poi le strade della città ti hanno portato a costruire nuovi palazzi e a fare dei musei di certe cose che non puoi più vivere. Musei che di base contengono la malinconia e tutto quello che non è più. Ma sono anche pieni di speranza, perché puoi vedere quanto lontano sei arrivato.
È così che capisci che le cose cambiano e quello è il motivo per cui il grattacielo potete pure tenervelo. La città è mia, ma vive delle persone che la abitano. E io posso fare poco, se non piantare alberi, costruire nuove case e, soprattutto, nuove scorciatoie. Scavando continuamente dentro di me, per far colare il cemento in profondità e cercare di prevenire, per quanto possibile, un crollo delle fondamenta. Sapendo però che, male che vada, la mia muraglia cinese è sempre lì, a tenermi in piedi e con la testa alta.