Telefonare, ieri
Anche io mi sono fatta lo smartphone, certo, e questa diavoleria con cui litigo spesso, per il touch o la connessione, mi basta per ricordare un caro estinto, un suo parente ormai abbastanza lontano.
Il telefono, quando io ero ragazzina, era un “apparecchio” grigio con la tastiera numerica a disco rotante. Sì, non aveva già più la manovella e non occorreva passare per il centralino, come si vede ancora nei vecchi film americani. Funzionava però già con il touch: cioè se non infilavi il dito nel foro del disco con il numero, se non lo “toccavi” e accompagnavi nella rotazione, la chiamata non la potevi fare.
In casa mia era posto su un mobiletto nell’ingresso, senza sedie, poltroni o divani: si parlava stando in piedi o seduti per terra. La privacy era negata da una porta troppo sottile, così che tutti ascoltavano. Proprio come oggi, quando ovunque ti trovi parli con un cellulare: ti ascoltano tutti.
Fino agli undici anni il telefono mi incuteva terrore, non avrei mai risposto a uno squillo: e se non sapevo che dire?
Una volta iniziata la scuola media però ero nell’età giusta: le ragazzine hanno sempre un sacco di cose da raccontarsi. Le vostre figlie adolescenti oggi consumano un milione di sms al mese? Ecco, allora al telefono ci si parlava, non ci si scriveva. Per dirsi probabilmente le stesse cose.
Il nostro telefono era in duplex.
Cioè, era in qualche modo collegato a un’altra utenza, dal cui numero si differenziava di poco; quando uno dei telefoni era in uso l’altro era muto, impossibile da usare. Serviva per avere uno sconto in bolletta: gli anni erano di crisi economica, come adesso, se si poteva risparmiare era meglio. Ma era anche un modo per complicarsi la vita con i figli. Di tanto in tanto infatti la vicina di casa che aveva il telefono in duplex veniva a suonare alla nostra porta disperata. Di solito c’ero io appesa alla cornetta. Alla faccia di quella che non voleva parlare a un apparecchio.
Del resto per un bel pezzo telefonare costò poco. Le chiamate urbane 50 lire, il prezzo di un gettone, o di due gelati. Le interurbane, quelle con il prefisso (solo in anni recenti il prefisso è stato reso obbligatorio anche per le urbane), andavano a scatti e costavano di più. Il gettone era una moneta con scanalatura e aveva il valore appunto di 50 lire. Si usava nelle cabine telefoniche e a volte come contante.
Gran bel servizio, quello delle cabine telefoniche. In un’epoca in cui il cellulare non esisteva nemmeno nei libri di fantascienza, facilitavano le comunicazioni. Erano disposte in strade, piazze, bar e ospedali. Il più delle volte prese di mira dai vandali, ma spesso funzionavano. Una vera risorsa.
Per non parlare degli uffici della SIP. La SIP era il gestore telefonico, l’antenata della Telecom. In ogni città si poteva trovare un centro di telefoni pubblici della SIP, con centraliniste o impiegate cui rivolgersi per le telefonate in teleselezione, cioè interurbane. Loro conteggiavano gli scatti e tu pagavi alla fine. Lì erano disponibili gli elenchi cartacei delle utenze di tutta Italia. Se ti serviva un numero lo trovavi; con tempo e pazienza, che mica era google.
La SIP, come la si chiamava familiarmente, era il ritrovo di noi ragazzine che con un gettone ci divertivamo a fare scherzi telefonici. Si prendeva un numero a caso e si cominciava un dialogo con il malcapitato di turno, finendo a scherzo, appunto, o a farsi prendere a male parole. Più o meno quello che succede oggi, quando i ragazzini cercano un dialogo sui social con gente sconosciuta. Anche noi volevamo socializzare, rischiando sì, ma dato che i mezzi erano diversi, meno potenti, meno veloci, ce la siamo sempre cavata senza danni.
Costava poco, 50 lire erano alla portata di tutti e con 50 lire fantasticavi su chi c’era dietro quel numero, su chi ti aveva risposto e dato corda o mandato al diavolo.
Non tutti avevano il telefono in casa.
Quando mia madre chiamava i suoi genitori in Veneto doveva telefonare a un bar distante circa un chilometro da loro. Quelli del bar rispondevano, mettevano giù e mandavano qualcuno ad avvisare i parenti della mamma. Lei richiamava dopo un po’ e finalmente si colmavano i mille chilometri che li separavano.
Le telefonate amorose costavano molto ai fidanzati lontani, che si telefonavano con un quintale di gettoni in tasca e la fila in attesa fuori dalla cabina. Perché l’amore ha tempi comodi, le cose da dirsi sono tante e chi se ne importa se qualcuno bussa là fuori.
Sui luoghi di lavoro i telefoni potevano essere controllati e limitati, con un lucchetto nel disco per impedire di fare chiamate. Ma tanto ricevere era gratis… E a proposito, il driin della suoneria era sempre lo stesso, e io non posso fare a meno di cercarlo ancora anche sullo smartphone.
E a proposito, il driin della suoneria era sempre lo stesso, e io non posso fare a meno di cercarlo ancora anche sullo smartphone.
C’è stato un periodo in cui il telefono era di moda anche nelle canzoni. C’è da sorridere a pensarci. Mimmo Modugno, che piangeva al telefono parlando con la figlia che non lo conosceva (“Piange il telefono”) oggi avrebbe risparmiato un po’ di lacrime con skype. Adriano Celentano e Claudia Mori che si parlavano in codice fingendo di essere dottore e paziente (“Buonasera dottore”) avrebbero sudato meno mandandosi piccanti sms; ma forse avrebbero rischiato di più, i messaggini degli amanti sono tracce destinate a essere scoperte. Mina invece precorreva i tempi e già allora pensava di lasciare un amore appena nato tramite telefono (“Se telefonando”). Oggi è una moda.
Dal telefono a gettoni si è passati al telefono a scheda, una cosa simile a un bancomat con un tot di valore economico (5000 o 10000 lire, per esempio) da utilizzare fino a che il credito si esauriva. Più comode dei gettoni, ma meno romantiche. Niente come il suono del gettone che cadeva nel telefono angustiava e rassicurava allo stesso tempo.
Ed ecco l’avvento dei cellulari. Enormi, quasi delle ricetrasmittenti, con l’antenna fissa. Poi sempre più piccoli. Abbiamo imparato a “cercare il campo”, come prima cercavamo la cabina, per fare la stessa cosa: comunicare a distanza.
Abbiamo imparato a “cercare il campo”, come prima cercavamo la cabina, per fare la stessa cosa: comunicare a distanza.
Lo strumento, grande come un walkie talkie, incapace di portare una comunicazione oltre i confini nazionali, è riuscito a fare il suo dovere prima di essere travolto dalle nuove generazioni. Telefonini sempre più piccoli, poi di nuovo sempre più grandi e sempre meno telefoni. Esplode la connessione ad internet, dopo che lo stesso internet è esploso come un big bang. Il telefono si connette alla rete e noi ci connettiamo con il telefono, non ce ne stacchiamo mai. Con il telefono puoi fare qualsiasi cosa.
Ma questa è un’altra storia.