Favola Birmana
Un biglietto aereo per il Myanmar (ex Birmania) e le mie macchine fotografiche sono tutto ciò che mi fa compagnia all’inizio di questo viaggio; sulle spalle uno zaino leggero da riempire strada facendo.
Guardo il mondo dal mirino di una macchina fotografica, sempre sospesa tra terra e mare, questa è la mia passione; è il mio lavoro.
Non mi faccio mai aspettative, sono al pari di un sacco vuoto da riempire di emozioni, istanti, odori, sapori, colori. Sarà deformazione professionale o attitudine, chi può dirlo, ma il colore è il mio chiodo fisso. Lo cerco sempre e ovunque, ma è sott’acqua che lo bramo; in un mondo che tende al blu, la sua purezza mi si rivela trionfante. Come? Segreto da fotografo!
Quando si guarda una fotografia, raramente ci si domanda cosa ci sia dietro o com’è stata realizzata, si viene colpiti solo da ciò che vediamo, dall’emozione che scaturisce dal soggetto e, ancora una volta, dal colore!
E’ con l’ambizione di imprigionare su di un supporto bidimensionale la corposità delle mie colorate visioni del mondo, che mi ritrovo a Ranong (Thailandia) con il passaporto in mano, pronta a mettere piede sul suolo Birmano, attratta dalla decantata verginità dei suoi fondali marini e dalla spiritualità che aleggia intorno alle sue pagode d’oro: quanto mi commuove la pacatezza della preghiera buddista.
La frontiera Thai-burmense è tutt’altro che pacata, un vero girone dantesco; se era il colore ciò che cercavo, qui non manca, ma anche l’odore a dir poco primordiale, si concede generoso: ti resta attaccato ai capelli , ai vestiti, all’anima!
Un timbro sul passaporto, uno scatto da una webcam ed eccomi “schedata”. Rivedrò il mio passaporto tra un mese! “Benvenuta in Birmania” penso. Nonostante il regime socialista che ha soggiogato il paese per sessanta lunghi anni si sia affievolito, noto che le vecchie abitudini sono dure a morire. Mi sento nuda senza il mio passaporto, nuda quanto gli abitanti di questa terra macchiata dall’oppressione, che con quel poco che hanno cercano di sopravvivere alla nuova democrazia, che di democratico ancora ha troppo poco! Ingenti investimenti stranieri cercano di ricostruire un’economia mai esistita, un paese allo sfascio come il pontile da cui mi dovrò imbarcare per raggiungere la mecca delle immersioni locali: l’Arcipelago delle Mergui, 800 isole per lo più disabitate sparpagliate nel mar delle Andamane, nel bel mezzo del Golfo del Bengala.
Uchoo, la mia guida , mi attende. Sorriso sgangherato (forse ha masticato troppo tabacco!), grandi occhi marroni e una parlantina da cicerone , non tace un attimo! Il suo inglese, “maccaronico” più del mio è incomprensibile, ma poco importa, sott’acqua non abbiam bisogno di parole!
Quaranta miglia nautiche separano l’imbarcadero da McLeod Island; Uchoo parla , ma io non lo ascolto più, osservo i grandi picchi granitici che si ergono fieri dal mare, antichi guerrieri di un tempo geologico che fu. Il turchese delle acque è variegato da pennellate verde petrolio, disegnate dal riflesso della rigogliosa giungla tropicale che ricopre le isole che si susseguono una laguna dietro all’altra.
Come in una favola, mi perdo fantasticando, cerco di immaginare cosa mi attende sott’acqua, ma il motoscafo che decelera bruscamente per entrare nella laguna antistante il resort mi riporta alla realtà: l’isola è di una natura selvaggia, quasi inquietante da quanto è pura, rifletto su quanto il nostro stile di vita sia lontano dal tanto decantato ritorno alle origini che ognuno di noi sotto sotto desidera quando dice: “basta, mollo tutto e vado a vivere su un’isola deserta“. Un picco si stacca dal profilo collinoso, come un’alta cima alpina svetta verso il cielo, aquile marine dal ventre bianco lo sorvolano sfruttando le correnti ascensionali. Molte le specie di uccelli presenti, bioindicatori che indicano il perfetto stato della foresta.
Un’acquazzone tropicale ci sorprende appena sbarcati: sarà difficile iniziare a scattare foto, ma meglio così! Ogni volta che mi trovo in un’ambiente nuovo è come se i miei occhi debbano abituarsi alla luce del posto, ai colori alle geometrie, è come se una sorta di Gps mentale dovesse fare il punto!
Monto una macchina sul cavalletto , l’altra è già pronta nello scafandro sub, è quasi l’alba, indosso i miei calzari sub (non ho gli scarponi, grosso errore!) e inizio il mio peregrinare esplorativo. Il sole sorge a oriente, inonda tutto di una luce arancio tendente al rosa, il blu del mare cambia colore passando dal grigio al ciano, una striscia gialla inizia a comparire sulla superficie piatta del mare. La natura inizia a dipingere la sua tela e poco a poco il disegno prende forma e si trasforma con il passare dei minuti, il colore divampa: il mare è azzurro, quasi irreale, mille tonalità di verde si fondono in un’armonia perfetta, il cielo rosato esplode in un caleidoscopio arancio e giallo, non riesco più a distogliere lo sguardo dal mirino. Ci penserà il giovane Uchoo, dalla pelle ambrata resa lucente dalla “tanaka”, una pasta giallastra che protegge dalle punture d’insetto e dalla ferocia del sole , a richiamare la mia attenzione al grido “briefing”!
Il tempo di capire usi e costumi del luogo e siamo in acqua. Finalmente, l’acqua calda e una dolce risacca mi cullano come una madre amorevole fa con il suo bebè, ancora una volta il mio Gps deve rifare il punto, e di nuovo: lettura esposimetrica della luce, studio della scena e geometrie, e questa volta sarò io a dipingere la mia tela!
Bassa profondità e forti correnti creano microcosmi sottomarini unici nel loro caso, come lo splendido sito di immersione “In the Middle”.
Come il nome suggerisce, si tratta di una secca, con il cappello a circa 12 m dalla superficie e il basamento a 40m, sita in mezzo a un canale che separa due scogli affioranti. Il luogo non sempre di facile accesso, per via della corrente che alle volte può essere intensa come un fiume in piena, mi regalerà più di una immersione.
La discesa su “in the Middle” richiede un poco di attenzione. In caso di corrente, bisogna scendere velocemente senza mai perdere di vista il cappello sommitale (il tetto della secca). Una volta raggiunto, si apre agli occhi uno spettacolo indescrivibile. Gorgonie giganti , costituite da polipi filtratori a organizzazione coloniale, che costruiscono strutture a ventaglio dal diametro di oltre tre metri, si susseguono dal fondo diventando via via più piccole verso la superficie. Se non illuminate dal flash sono di un giallino pallido, quasi verde, ma non appena colpite dal mio piccolo sole subacqueo, diventano rosse come il fuoco, accendendo di luce e riflessi tutto ciò che le circonda!
Quello che lascia esterrefatti è che tutta la secca ne è densamente ricoperta. Sono così fitte e ravvicinate da rendere quasi impossibile fotografarle, non voglio rischiare di romperne una, non potrei perdonarmelo, voglio sentirmi ambasciatrice di questo spettacolo unico. I pinnacoli granitici della secca, sono tappezzati da alcionari (sempre organismi filtratori), piccoli, rigonfi, rossi, gialli, arancioni, rosa, verdi,viola, non ho mai visto un simile caleidoscopio di colori. Banchi di triglie si fanno largo tra i gorgonacei, ma il regalo piú bello me lo faranno un branco di glass fishes (piccoli pesciolini trasparenti) assembrato ad un pinnacolo ricoperto di alcionari arancioni. Mi avvicino e ne osservo il movimento, compiono strane evoluzioni, solo alla fine guardando la posizione dei miei flash, capisco che si muovono in funzione dei miei movimenti. Scatto, e scatto ancora, in un magico momento i pesci si muovono all’unisono compatti, creando una spirale, nel cui centro sembra racchiudersi un cuore. Unica spettatrice di questa magia, mi sento baciata dalla fortuna, ho realizzato uno dei miei scatti più belli: “Ocean heart”.
Camminare nella fitta foresta tropicale, con l’elevata temperatura è gravoso, ancora non scorgo nulla se non alberi, liane, cespugli e ragni giganteschi. L’ascesa sembra non terminare mai, capisco di essere quasi alla cima quando incontro una ferrata, ma è solo un’illusione, dovrò superarne altre tre prima di arrivare. Giunta nel punto più alto, mi volto, due aquile dal ventre bianco mi sorvolano, talmente vicine che riesco a percepire il rumore del loro battito d’ali. Sono sbalordita: acqua tutto intorno a me, isole granitiche paiono lanciate in acqua come bilie sulla subbia. Seduta con l’immensità dal Mar delle Andamane negli occhi, e la bellezza di “In the Middle” nel cuore, sento davvero dentro di me il desiderio di tornare, felice di poter raccontare che, per un’istante, ho visto pulsare il cuore dell’oceano.
GALLERIA FOTOGRAFICA:
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