La sofferenza odora di arancia, amara
Quando ti squilla il telefono alle quattro della notte, sai che dall’altro capo del telefono non c’è l’assillante ragazzo del call center che vuol farti cambiare gestore telefonico a tutti i costi. Ti alzi di scatto, maledicendo la tua schiena che non ti aiuta ad essere veloce, e dentro di te sai che certamente è successo qualcosa. E la distanza che percorri è un continuo chiedersi “a chi”. “Pronto“, “ok“. Click. Deglutisci e respiri.
Entro al pronto soccorso dell’ospedale Loreto di Napoli e mi sembra un campo di battaglia. C’è gente che piange, altri ridono, c’è qualche ferito, altri hanno visi tirati e pallidi, c’è sofferenza. Puzza. Terzo piano, sezione neurologia. Faccio le scale due per volta. Non prendo l’ascensore perché mi fa schifo toccare i tasti. Quando sono costretta a toccare qualcosa, lo faccio con il gomito. Ad ogni piano mi assale un odore diverso. Ma quello predominante è quello dell’arancia. Mi chiude lo stomaco…mi viene da vomitare. In un attimo sono proiettata nel refettorio dell’asilo della scuola materna dalle suore. Anche lì sentivo l’odore dell’arancia.
Arrivo sudata, e affannata. Ho lo stomaco sempre più stretto. Da quando non fumo più, quasi sette anni, l’olfatto è rifiorito a nuova vita, il che non è sempre un bene. Urina, farmaci, sudore, vita e morte si concentrano nel mio naso. Poi lo vedo. Un uccellino spaurito, scavato nel volto, fermo immobile. Dorme. Credo sia sedato. Ischemia cerebrale. Non parla più ed è paralizzato a destra. L’unica cosa che chiede, mi dicono, è quella di tenere la mano di qualcuno. Non ricorda. Qualche giorno fa mi aveva portato i fagioli. I miei nonni sono impegnati nella lotta per farmi mangiare bene. Mia nonna cucina e mio nonno lo porta. È un uomo buono. Ieri accanto al suo letto eravamo in dodici, forse anche di più..almeno finché non sono arrivate le guardie. Nessuno vuole lasciarlo da solo. Nessuno vuole andare via. Non é pietas, è amore. Si vede. Uno gli tiene la mano, un’altra gli bagna la bocca, c’è chi controlla la flebo, chi gli massaggia i piedi. Quando sono così anziani sai che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo. Ma quando poi succede chiedi a Dio un altro po’ di tempo, perché lui di tempo ne ha speso tanto per tutti. Ha insegnato a mio figlio a giocare a scopa ad esempio. Un giorno in più per ogni minuto che ha trascorso con noi, figli, nipoti, pronipoti. Un giorno in più senza questo cazzo di odore di arancia, che mi fa venire la nausea.
Oggi fuochi e forni sono spenti.