Napoli, una trina e trans
Ok, non sarà stata Robin Williams e manco Lucio Dalla. Ma sei giorni fa lasciava questo mondo Valentina ok, all’anagrafe Ciro Adorato, uno degli astri del piccolo firmamento neomelodico. Neomelodico: ovvero quella centrifuga sottomusicale che da trent’anni, a Napoli e provincia, macina note trash a mo’ di colonna sonora di una città che non ha mai smesso di coniugare l’alfa e l’omega dello scibile umano.
Ma a scanso di equivoci va fatta una premessa: Valentina non era un talento. Salita alla ribalta per un singolo che alla fine degli anni ’90 spopolò nelle radio di quartiere (stiamo parlando, per chi non l’avesse capito, di “ok”, e da qui il suo nome d’arte), non ha mai raggiunto le vette (o il fondo, fate voi) di cantanti come Alessio, ancora sulla cresta dell’onda. E non tragga in inganno la breve escursione linguistica dal napoletano all’inglese (“ok” fu cantata pure in inglisc, pur non uscendo dai confini del Golfo). Ciò che invece la rendeva unica era l’accoppiata vincente tra il suo genere musicale e il suo genere sessuale. Neomelodico e transgender. Un cocktail esplosivo di sfumature e ambiguità. Quanto basta per farne un piccolo fenomeno di culto. Soprattutto tra le schiere di ”femminielli” e travestiti che popolano Napoli tra Piazza Garibaldi e la Duchesca.
Ci vogliono contraddizioni secolari, puzza e vomito, sperma e bellezza per partorire personaggi come Valentina. Cose che Roma o Milano si sognano
L’aveva capito pure Andy Warhol, che si innamorò di Napoli perché gli ricordava tanto New York per i travestiti e i rifiuti in strada. Se avesse conosciuto Valentina, forse l’avrebbe scelta per una serigrafia esplosiva come il Vesuvio. E peccato che, oltre ai vestiti e alla gestualità, non abbia potuto apprezzarne anche l’uso “trans” dei condizionali. “Sarei una pazza, se non ci verrei” fu il congiuntivo assente con cui la cantante piegò le regole dell’italiano alla cantabilità del trash. Licenza tra le licenze, appunto. Che solo un “mostro” come Valentina poteva concedersi.