Ayahuasca, e incontrai gli spiriti della foresta
E’ notte fonda nella foresta amazzonica di Iquitos (Perù). Le 20.05 per la precisione, ma l’oscurità ha già inghiottito ogni luce intorno a me, nella grossa e circolare capanna cerimoniale chiamata Maloca.
Sono seduto sul mio materasso, piegato in un oblio a metà tra eccitazione paura, aspettando che Don Guido, il curandero officiante questa sera, mi chiami per bere dalla coppa e dare inizio alla cerimonia.
Mi alzo e percorro velocemente i pochi metri che mi separano da lui. Lo sciamano mi sorride benevolo e poi, dopo aver benedetto la piccola coppa in legno di foresta, me la mette tra le mani.
Ingollo in un solo fiato il liquido vischioso e ripugnante che comincia a scorrermi viscido nelle interiora, come un grumo di terra fangosa a colpirmi violento lo stomaco.
Ancora tossendo per il disgusto faccio ritorno al mio posto e, una volta che tutti gli altri partecipanti avranno bevuto, le luci si spengono e la magia irrazionale di questo rituale antico e misterioso come la giungla stessa comincerà ad investirmi gradualmente e a rilento nel corso delle quattro ore successive.
Il rituale di cui parlo è la celebre cerimonia dell’Ayahuasca, una bevanda spirituale utilizzata dagli sciamani amazzonici come medicina per l’anima e composta da due ingredienti principali: Banisteriopsis Caapsi, una liana legnosa dagli effetti purganti, e Dmt, una molecola prodotta anche dal nostro cervello, specie durante la fase Rem del sonno.
L’Ayahuasca consente a chi la beva di espandere la propria coscienza oltre i limiti fisici del corpo, ed accedere ad una dimensione spirituale nella quale ricercare nuove conoscenze per lo sviluppo spirituale personale, o una cura per numerose patologie psichiche, come la depressione. Per questo motivo gli sciamani peruviani, così come quelli delle regioni amazzoniche, dopo aver sperimentato gli effetti di quella che loro chiamano “Madrecita” impiegandola come sostanza curativa per millenni, si ritrovano oggi ad essere meta dei turisti occidentali, che arrivano a spingersi nella natura incontaminata della giungla per provare di persona gli incredibili effetti del composto o trovare una soluzione a problemi personali che la psicoterapia tradizionale non è riuscita a risolvere.
La tradizione mitologica e culturale di questo rituale, come di altre attività operate dagli sciamani amazzonici, è molto articolata e complessa, e coinvolge diversi aspetti della vita spirituale e delle abitudini mediche della gente che vive lungo le sponde del Rio delle Amazzoni. A sentire gli indigeni, l’Ayahuasca permetterebbe di compiere un viaggio con la propria anima, nel corso del quale le entità spirituali della pianta inducono ad esplorare l’inconscio per trovare una soluzione alle proprie ansie o paure, o semplicemente insegnano qualcosa di nuovo sulla realtà spirituale a cui con il suo corpo fisico non si avrebbe accesso.
Con il turismo portato dagli occidentali le opportunità economiche e di scambio interculturale si sono molto intensificate, ed è stato proprio questo tipo di sviluppo ad avermi interessato come antropologo, persuadendomi a spingermi fin laggiù, combattendo contro insetti giganteschi e gocce d’acqua pesanti come pietre cadute dal cielo, per effettuare una ricerca di campo di due mesi con l’obiettivo di comprendere quanto lo sciamanesimo amazzonico e la ritualità dell’Ayahuasca fosse cambiata con l’avvento del turismo straniero.
La bevanda ed il rituale ad essa collegato possono avere effetti molto particolari e, specialmente, personali ed irripetibili. Non è possibile che due persone vivano lo stesso tipo di esperienza, né che la stessa persona sperimenti i medesimi effetti ad ogni cerimonia. Per il mio lavoro di campo ho preso parte a sette cerimonie, e ciascuna è stata completamente diversa da tutte le altre. Nelle prime ho avuto effetti per lo più fisici, vomito e forte nausea: il mio organismo doveva abituarsi progressivamente alla mistura.
Dalla terza cerimonia in poi gli effetti sono diventati molto più profondi e visivi ed ho avuto la sensazione di un vero e proprio viaggio dell’anima in territori inesplorati, popolati da strane forme ed entità delle quali ho sempre sentito di potermi fidare. Quello che si prova penso sia descrivibile come un sogno nel quale ci si ritrova a navigare come se si dormisse, ma con una differenza: si è perfettamente consapevoli di non stare dormendo e la soglia di attenzione è assai maggiore che in qualsiasi esperienza onirica.
La mia personale interpretazione è che quello che ho vissuto, più che un viaggio dell’anima è un viaggio nel proprio inconscio, alla scoperta di sé stessi, volto ad accettare i propri limiti e a spingere al massimo le proprie potenzialità.
So quello che molti di voi penseranno: L’Ayahuasca non è che una droga allucinogeno-psicotropa, ed ogni suo effetto è spiegabile come una semplice alterazione sensoriale e della coscienza. Forse questo è vero. Ma, sinceramente, nutro qualche dubbio a riguardo.
Gli spiriti incontrati, le emozioni (sia piacevoli che molto spiacevoli) che ho sentito sulla pelle, e le rivelazioni che ho avuto sulla mia persona mi portano a pensare che la spiegazione scientifica razionale sia riduttiva, e che L’Ayahuasca non sia paragonabile ad una droga ricreativa.
Il rituale è condotto al buio e ha una durata di poche ore, durante le quali ognuno dei partecipanti vive la propria esperienza sdraiato, ad occhi chiusi, accompagnato solo dai suoni naturali della giungla e dai canti (Ikaros) dello sciamano officiante, che mantiene il ritmo durante tutta la cerimonia.
L’Ayahuasca non è affatto qualcosa da liquidare come semplice allucinogeno o come mezzo di fuga dalla realtà, ma una potente medicina tradizionale che potrebbe farci scoprire qualcosa di nuovo e di sorprendente sulla nostra natura e su quella che ci circonda.
Il botanico americano Terence McKenna, che ha fatto importanti studi sulla questione, ne fu parimenti convinto, ed elaborò una teoria analoga, secondo la quale l’Ayahuasca, come altre piante medicinali utilizzate da culture primitive, siano strumenti attraverso cui la natura, viva e cosciente, ci parla, trasmettendoci importanti messaggi.
Non so dirvi se l’Ayahuasca abbia veramente il potere di fare tutto questo, o le cose di cui gli sciamani mi hanno tanto parlato, né se questi spiriti della natura esistano davvero; al momento il saperlo nemmeno mi interessa.
Quello che so per certo è che la mia esperienza, come quella di chiunque abbia preso parte a questi rituali, mi ha spinto a pormi delle domande e a tentare di trovare nuove risposte, magari in contrasto con i postulati della nostra cara vecchia scienza occidentale, ma non per questo necessariamente false o pericolose.
Ho fatto un’esperienza unica nelle profondità della giungla, che ha spinto i miei confini molto al di là di quanto credevo potessero arrivare.