L’abituato amore umano
Da quanto tempo Ale, da quanto tempo!
E perché il Tempo debba intromettersi invadente, posizionandosi sterminato tra l’ultimo istante di un nostro incontro e il primo di quello successivo, non è dato sapere.
Smanio.
Avrei bisogno di parlarti. Di nulla in particolare, solo per il bisogno di parlarti. Senza una traccia, ma lasciando che il tema si svolga oltre la carta, in origami disorganizzati e con mille vie di fuga.
Com’è difficile concedere all’anima la grazia di vivere in piena aderenza coi giorni che scorrono. Come siamo in realtà diversi da ciò che in realtà siamo!
Sarà forse la naturale apatia che scorre invisibilmente alternata ai granelli di tempo di una clessidra? Sarà l’abitudine? Ma l’abitudine a cosa? Ci fosse un solo moto del mio animo identico al precedente! L’abitudine a cosa!?
Si abituò forse Ulisse al canto delle sirene seppur sempre lo stesso?
Come siamo in realtà diversi da ciò che in realtà siamo
Sono stata a mare. Ed è stato buffo ed impudico spiarlo, per tutta l’estate, amare la terra. Possederla lì nella risacca, perdela e riconquistarla al ripetuto ritmo della sua perpetua danza.
Il mare non si abitua perché infinite correnti lo battono. E ogni nuovo vento soffia promesse di grandezza, enfiando onde ribelli che poi, inesorabilmente, da qualche parte s’infrangeranno tornando miti e lente nell’abisso. La battaglia è ìmpari.
Il mare non si abitua all’amore, come l’abituato amore umano.
Il mare non si abitua alla sua terra, e in una manciata di secondi tornerà appassionato ad amarla, naufragando qualsiasi ambizione di marosi intestini, graffiando via pensieri e levigando l’appuntita rabbia degli scogli.
Di questo vorrei parlarti. Del mare. E della rabbia. E dell’amore. E di me. E di te.