Luna para todos
Immaginate di essere a scuola. No, non sbuffate, e che sarà mai! Dai, se proprio fate fatica provate a mettere il cervello in modalità “si stava meglio quando si stava peggio” e vedrete rivoli di stimoli affiorare da tutte le parti. Bene, immaginate ora che un professore vi chieda cos’è la luna. Voi, di primo acchito, rispondereste: “un satellite“. Giusto.
Ma se l’insegnante, mosso da un improbabile spirito di emulazione verso il Prof. Keating de “L’attimo fuggente“, vi squadrerà con ghigno disilluso e vi riproporrà la questione in questi termini: “Sì, va bene, ma cos’è, per te, la luna?“. Ecco, come la mettiamo in questo caso?
Non è una domanda sciocca, la luna è in effetti un affare privato, un patrimonio collettivo che si intimizza in miliardi di forme. Non c’è distinzione di censo e istruzione, non importa la latitudine e nemmeno l’epoca, la curiosità verso questa presenza notturna dalla forma mutevole accomuna il genere umano e si arricchisce con le innumerevoli interpretazioni che ognuno di noi, liberato dalle regole della fisica, può dare. Perciò tenetevi il satellite, lasciateci lo spicchio d’arancio, la monetina che illumina le notti buie e quante altre definizioni ancora la nostra mente può confezionare. Non ce ne voglia, signor Galilei, siamo coscienti dell’importanza dei suoi studi sul satellite lunare, ma preferiamo pensare a sora Luna come colei che l’insaziabile pastore Endimione ingravidò cinquanta volte. E ci scusi anche lei, signor Nixon, siamo consapevoli della vostra inutile gara con l’Unione Sovietica, ma alla passeggiata di Neil Armstrong preferiamo quella di Astolfo, che sulla luna bandiere non piantò, ma in compenso vi ritrovò il senno dell’amico Orlando, quanto mai furioso.
Il fatto è che la luna si presta a tutto e a tutti. C’è il malinconico che scorge i riflessi blu, il passionale che la inietta di rosso, il nichilista che la copre di nero. Avevano forse ragione le popolazioni di lingua indoeuropea, da cui il latino deriva, ad assegnarli la radice leuk-, luce riflessa. E questo non tanto perché effettivamente riflette luce altrui, ma perché riflette il nostro animo, le nostre passioni. Anche le nostre paure: alcune popolazioni primitive credevano che la luna nascesse ogni notte e morisse ogni mattina e così via in un ciclo che si voleva rappresentasse quello dell’uomo, l’atavica speranza di rivedere, un giorno, ciò che è stato.
Non ce ne voglia, signor Galilei, siamo coscienti dell’importanza dei suoi studi sul satellite lunare, ma preferiamo pensare a sora Luna come colei che l’insaziabile pastore Endimione ingravidò cinquanta volte
Ritorniamo ora al nostro professore immaginario. Eccolo, sornione, attendere la risposta. Volete sapere cosa risponderei io? Dipende. No, la risposta non è “dipende”, il “dipende” si riferisce a una pluralità di risposte possibili. Magari oggi potrei dirvi, come il più banale dei Pierrot, che la luna è la mia amata. Ma, attenzione, domani, preso dall’inedia, potrei affermare che la luna è la monotonia di un percorso sempre uguale. Ieri vi ho quindi detto che la luna è la sola certezza in una notte buia e di nubi colma? Come vi ho detto, dipende. Dipende dalla giornata, insomma. Che ci posso fare se sono lunatico?