The apprentice
Siete qualcosa tra il non esserci e il niente.
Procediamo: a Briatore la faccia alla Simona Ventura di X-factor proprio non gli riesce, non c’è portato (quella della porchetta invece è tutta sua – evvabbè, neanche a me riesce il sorrisetto alla Clooney).
Discutiamocela che ‘sta cosa che si trova nel palinsesto di Sky e che gira attorno a Flavio Briatore, è agghiacciante e restauratrice di climi aziendali da campi di cotone sudisti.
Facciamo un salto indietro nel tempo ma neanche tanto: anni ’80, boom di iscrizioni in Economia e Commercio, un paio di film ambientati a Wall Street che sbancano al botteghino, sulle copertine dei settimanali quattro cavalieri dell’Apocalisse che si esibiscono in scalate azionarie, moltiplicazione di gruppi aziendali, acquisizione di quote di controllo, offerte di pubblico acquisto. Erano Gardini, De Benedetti, Agnelli, Berlusconi, il mito di tanti yuppies che in facoltà ci andavano in cravatta e valigetta ventiquattrore manco dovessero stipulare contratti – in fondo ognuno il bloc notes per prendere appunti di Matematica Generale lo mette dove gli pare, non è che esiste solo il cestino di paglia.
Oggi: ma questi che erano un mito trent’anni fa che fine hanno fatto?
Gardini si ammazza dopo una serie di sfaceli finanziari.
De Benedetti si ridimensiona da solo – un po’ implicato e un po’ no in storie di tangenti, nel tempo se ne sente parlare sempre meno.
Agnelli incassa contributi rottamazione uno dietro l’altro, intanto muore e quando l’Italia non c’ha più soldi per sostenere la sua Fiat il nuovo AD decide di portare tutto all’estero.
Berlusconi crea un modello societario non ancora previsto dal Codice Civile, la Cricca a irresponsabilità illimitata, e inaugura un’era edonistica a base di escort – insinuano – non sempre maggiorenni.
Beh, guardando da questa prospettiva i quattro cavalieri non è che fossero da imitare.
Comunque tutto questo non c’entra nulla con The Apprentice. Forse.
Intanto il termine inglese significa L’apprendista e chi vince il reality avrà un contratto a sei cifre.
Sta nei patti che all’inizio i concorrenti sono dodici e che ad uno ad uno vengano eliminati. Lo sappiamo bene, succede anche a X-Factor dove i perdenti vengono consolati dai mentori, succede a Masterchef dove i tre giudici ti dicono togliti il grembiule e poi ti invitano ad insistere con pentole e soffritti.
A The apprentice va diversamente.
Ieri sera guardo una replica. I partecipanti vengono divisi in due squadre che devono realizzare i ricavi più elevati vendendo bottiglie di vino in una enoteca milanese molto esclusiva. Vengono prima mandati a vendemmiare nella tenuta di Franciacorta; mentre raccolgono grappoli dal cielo arriva un elicottero che atterra. Chi ci sarà dentro? Eddai, ci puoi arrivare.. è Flavio Briatore! – tutti lo guardano proprio come gli umani osservavano la creatura strana in Incontri ravvicinati del terzo tipo (se il riferimento può risultare ostico e datato allora propongo Bernardette e la Madonna di Lourdes).
La discesa dell’imprenditore in terra come da mistero della Fede, lui, nel nome di quella categoria che vuole toglierti l’articolo 18, che porta le fabbriche all’estero per poter sfruttare turchi e cingalesi, che a Prato mette il cinese come prestanome così da fottersene di Inps e Inail, che si rivolge a società di smaltimento rifiuti speciali senza preoccuparsi troppo di dove finiscano le sostanze tossiche che fuoriescono dai sui cicli. Lo so, fortunatamente non sono tutti così.
Torniamo al gioco.
La squadra che ha proposto un vino di medio livello come esclusivo perde, tra l’altro ha svenduto a cinquanta euro un prodotto che gliene costava quarantotto. Il team leader viene ritenuto il responsabile delle scelte sbagliate.
Briatore alza il braccio, punta verso la porta e, alzando la voce, dice Fuori! al concorrente eliminato.
Niente di più raccapricciante. Neanche i documentari con leonesse che scannano zebre risultano così crudeli. Eppure la dimensione di un uomo si misura quando questo, in una posizione di vantaggio o superiorità, riesce a porsi sullo stesso piano dell’altro che invece ha dimostrato di sapere fare meno. Ma Briatore sdogana la figura del dirigente che si incazza e che umilia chi non è stato all’altezza della situazione, che umilia chi non è divino come lui.
E intanto la voce fuori campo dice che tante delle battute di Briatore sono già un cult.
Ve ne riporto un paio.
Più stai zitto e meglio è.
Alla prossima ti butto fuori.
Siete qualcosa tra il non esserci e il niente.
Per lavorare con me dovete sputare sangue.
Io non sopporto gli arroganti, i presuntuosi.
A Briatore scappò dalla bocca pure questa: “Loro hanno un tempo limite di vendere un certo prodotto”.
Credo che quest’ultima non diventerà un cult.
Forse.